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A PROPOSITO DELLE RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE SULLA RETRIBUZIONE SUFFICIENTE

di Marco Lai (Centro Studi Cisl Firenze)

Se fino a poco tempo fa l’art. 36, 1° comma, Cost., da parte della giurisprudenza, era considerato una sorta di “grimaldello” per l’estensione dei contratti collettivi anche nei settori non contrattualizzati, considerando il CCNL lo strumento privilegiato per assicurare eque condizioni di lavoro, più di recente (a partire da Cass. n. 27711/2023) sono proprio i contratti, anche quelli firmati dai sindacati più rappresentativi, ad essere chiamati in causa, tramite “dichiarazione di nullità/integrazione del contenuto” da parte dei giudici. Le decisioni riguardano settori specifici, quali la vigilanza privata ed i servizi fiduciari, dove i trattamenti retributivi sono particolarmente bassi, nonostante gli incrementi ottenuti negli ultimi rinnovi contrattuali.E’ da evidenziare peraltro come la stessa Cassazione inviti il giudice ad approcciarsi alla contrattazione collettiva “con grande prudenza e rispetto”, stante la naturale attitudine delle parti sociali alla gestione della materia salariale, invitandolo peraltro qualora si discosti da quanto previsto dalla contrattazione collettiva a darne “adeguata motivazione”.Il nostro ordinamento assegna infatti una competenza determinante, ancorchè non esclusiva, all’autonomia collettiva in materia di retribuzione (a partire dalla giurisprudenza della Cassazione, sez. unite, del 1984, sull’inesistenza di un principio  di omnicomprensività della retribuzione; per cui, di norma, la definizione della misura, delle modalità e dei criteri di erogazione delle voci retributive rimane affidata all’autonomia collettiva).Indicazione rilevante, ribadita dalla citata sentenza della Cassazione, è che parametro di riferimento in materia è “il trattamento economico complessivo; inclusivo dunque non solo della paga-base ma anche di tutte le altre voci aventi natura retributiva (questione che ha avuto rilievo nel corso della stesura del documento approvato dal Cnel, il 12 ottobre scorso).D’altro lato la magistratura rivendica sempre più un ruolo di garante delle retribuzioni non solo nei confronti della contrattazione collettiva ma anche rispetto ad un eventuale salario minimo per legge, spettando comunque al giudice verificare se l’importo fissato sia rispondente ai canoni dell’art. 36, Cost.Il punto di maggiore criticità nelle decisioni della Cassazione consiste, a nostro avviso, nell’indeterminatezza dei parametri utilizzabili dal giudice. Il riferimento ai “trattamenti delle categorie affini” “per prestazioni analoghe”, così come alla comparazione tra Ccnl riferiti a settori differenti, e ancor più, a parametri esterni al rapporto di lavoro (quali ad es. la soglia di povertà calcolata dall’Istat), rischia di aprire uno spazio eccessivo alla discrezionalità del giudice e all’incertezza applicativa. Nessun datore di lavoro, davanti a criteri cosi variabili, potrà infatti sentirsi al riparo dal contenzioso, pur applicando contratti collettivi sottoscritti da sindacati rappresentativi.Se le recenti decisioni possono essere di stimolo per innalzare i trattamenti retributivi nei settori più deboli, la strada da seguire a nostro avviso non può che essere quella della applicazione di “un giusto contratto”.Linea già tracciata dal Corte Cost. con sentenza n. 51/2015 (ribadita, tra l’altro, da Cass. n. 4951/2019): rinvio al trattamento economico complessivo stabilito dal Ccnl prevalente nel settore di riferimento. Non si tratta di stabilire l ‘”erga omnes” del Ccnl (procedura in contrasto con l’art. 39 Cost.) ma di operare un “rinvio mobile” ai trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva quali parametri esterni (cfr. quali indicazioni legislative: art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007 settore cooperative; enti del Terzo settore; trasporto aereo).In conclusione occorre definire “il campo di gioco” (i perimetri contrattuali in relazione all’attività effettivamente esercitata) dando seguito al percorso delineato dal “Patto della fabbrica”, del 2018. Una volta definito il perimetro contrattuale (di settore) occorre individuare il “contratto prevalente”, cioè quello più diffusamente applicato.Individuato il contratto prevalente occorre rapportare ad esso: la giusta retribuzione; la possibilità di beneficiare di incentivi fiscali e contributivi; i rinvii della legge alla contrattazione collettiva (anche in deroga; cfr. art. 8, legge n. 148/2011; art. 51, d.lgs. n. 81/2015); le indicazioni operative per gli ispettori del lavoro in caso di mancato rispetto del trattamento economico/normativo (cfr. circ. INL n. 9/2019)Per fare ciò non occorre un intervento legislativo.

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