SOMMARIO: 1. Salute e sicurezza e lavoro. – 2. Salute e sicurezza e sindacato. – 3. Segue. Il sistema di rappresentanza e delle relazioni collettive nel Testo Unico. – 4. Segue. Rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali. – 5. Segue. Gli organismi paritetici. – 6. Spunti conclusivi.
1. Salute e sicurezza e lavoro.
Riflettere sul valore della sicurezza del lavoro oggi e soprattutto su come si possa concretamente operare per contrastare la piaga delle morti sul lavoro non è agevole. I pur apprezzabili risultati raggiunti in riferimento al dato degli infortuni mortali (tendenzialmente decrescente; sono invece in aumento le malattie professionali) [1], nonché il fatto di disporre finalmente di un più chiaro assetto legislativo, il c.d. Testo Unico in materia di salute e sicurezza del lavoro – d.lgs. n.81/2008, così come integrato e corretto dal d.lgs.n.106/2009 – non appare infatti sufficiente. Il vero problema è quello della effettiva applicazione delle norme esistenti e di un radicamento diffuso della cultura della prevenzione, tramite un impegno costante, ed auspicabilmente coordinato, di tutti quei soggetti che da versanti diversi (responsabili aziendali, consulenti per la sicurezza, dirigenti ed operatori sindacali, istituzioni) sono impegnati in tale delicato settore.
In premessa vale la pena di sottolineare che affrontare il tema della sicurezza e della “salute”, termine ora anche legislativamente codificato[2], nei luoghi di lavoro non significa occuparsi di un’area qualsiasi di intervento sociale (la retribuzione, l’orario, financo il posto di lavoro), ma di una sfera più profonda che riguarda l’essenza stessa della persona. Non a caso il diritto alla salute è riconducibile ai diritti della personalità, intrasmittibili per struttura, in quanto inseparabili dal soggetto, ed irrinunciabili (meglio indisponibili) per ragioni connesse all’interesse pubblico ad essi sotteso[3]. Dimensione etica e dimensione sociale in tale area sono dunque indissolubilmente legate. L’indifferenza nei confronti dell’ennesima morte sul lavoro, che spesso da sola non fa più notizia, o il fermarsi all’emozione passeggera di eventi eclatanti mediaticamente gestiti, è la stessa indifferenza nei confronti del valore della vita, che tristemente caratterizza sempre più la nostra società, e che riguarda molti altri ambiti delle relazioni sociali (si pensi ad esempio alle tante vite perse ogni anno per incidenti stradali).
D’altro lato configurare il diritto alla salute e sicurezza sul lavoro come diritto della personalità significa riconoscere tale diritto per tutte le forme di lavoro e sue applicazioni (secondo il dettato dell’art.35, 1°comma, della Costituzione). La tutela deve pertanto valere non solo per il lavoro subordinato, ma anche per il lavoro autonomo o comunque il lavoro svolto in situazioni di soggezione o sottoprotezione. E’ una prospettiva innovativa solo di recente affrontata sul piano giuridico[4].
La gamma dei profili di interesse della materia qui considerata è particolarmente ampia: dall’essenziale diritto all’ integrità fisica ed alla salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro, secondo quanto previsto dal tuttora vigente art. 2087 del codice civile [5], alla considerazione dei nuovi rischi di c.d. natura psico-sociale, definibili in termini di interazione tra contenuto del lavoro, condizioni ambientali ed organizzative ed esigenze e competenze dei lavoratori [6] , fino alla prospettiva del benessere organizzativo[7], per certi versi provocatoria in un contesto in cui la crisi economica, con le sua pesanti ricadute sul piano occupazionale, non mostra segnali di sostanziale superamento.
Tuttavia è proprio forse nei momenti di maggior difficoltà per l’economia che la dimensione sociale del lavoro deve emergere come fronte aperto di analisi e di intervento, nella considerazione che la risorsa umana non possa essere ridotta alla stregua di qualsiasi altro fattore tecnico della produzione, ma, viceversa, costituisca elemento determinante e propulsivo per lo sviluppo dell’impresa e dell’intero sistema produttivo.
Il valore del lavoro, anche ai fini del risultato del bene prodotto, consiste infatti nella qualità delle relazioni che si riescono a costruire. Da luoghi di competizione individuale gli ambienti di lavoro devono dunque trasformarsi in luoghi di partecipazione, motivazione e cooperazione, in cui la persona, e le sue condizioni psicofisiche, siano debitamente considerate [8].
Il fatto peraltro che il diritto alla salute, compresa quella sul lavoro, sia affermato nel nostro ordinamento come diritto fondamentale dell’individuo [9], oltre che interesse della collettività (cfr. art.32, 1°comma, della Costituzione), sta a significare che esso riveste un rilievo preminente rispetto ad altri diritti pur riconosciuti dalla Costituzione (in particolare riguardo alla libertà di iniziativa economica privata, di cui all’art.41, Cost., nonché rispetto allo stesso diritto al lavoro, di cui all’art.4, Cost.). Ne consegue che la salute, quale fondamentale diritto del lavoratore ed interesse della collettività, non può essere considerata un mero auspicio o una fase tendenziale dell’organizzazione produttiva, ma di quest’ultima costituisce una precisa condizione di esercizio. Nella dialettica, propria delle relazioni industriali, tra logica produttivistica ed esigenze di tutela del lavoro è dunque la salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei lavoratori a rappresentare il momento privilegiato, non potendo il datore di lavoro invocare la libertà d’impresa per giustificare scelte organizzative che possano mettere a repentaglio la sicurezza dei propri dipendenti o collaboratori [10].
Nel periodo più recente va peraltro evidenziato lo stretto legame tra sicurezza del lavoro, lavoro nero, sommerso, flessibile. E’ da condividere infatti l’affermazione secondo la quale “a circa un secolo dalle prime esperienze (di analisi delle malattie da lavoro), la mortalità torna a descrivere, con le sue crude cifre, il differenziale di speranza di vita che ancora divide i ricchi dai poveri, i lavoratori manuali da quelli addetti a lavori non manuali, i disoccupati dagli occupati, i nati in Italia dagli immigrati da paesi del Terzo Mondo e, talvolta, le disuguaglianze riconoscibili tra mestiere e mestiere”[11].
E’ di tutta evidenza come le questioni della salute e della sicurezza si pongano in termini di più accentuata gravità per quei lavoratori che non fanno parte in modo stabile di una determinata collettività aziendale. Significativa è del resto la maggior esposizione al rischio dei lavoratori extracomunitari.
Gli interventi sulla sicurezza sul lavoro si sono fortemente intrecciati con quelli per la lotta al lavoro nero e sommerso. Il termine sicurezza richiama il concetto di legalità, da intendere non solo come applicazione rigorosa di norme ma soprattutto come rispetto della persona, operandosi una sorta di “presunzione” da parte dell’ordinamento giuridico tra lavoro irregolare e scarsa sicurezza sul lavoro [12]. In tale contesto il settore dell’edilizia, come noto ad elevato tasso infortunistico, ha funzionato da apripista quale ambito sperimentale per l’introduzione di misure poi da estendere ad altri settori. Disporre di un mercato del lavoro trasparente e regolare è del resto interesse non solo dei lavoratori ma anche del mondo imprenditoriale (e delle associazioni datoriali) al fine di contrastare forme di concorrenza sleale. Di tutto ciò si è tenuto conto nel riordino normativo operato dal Testo Unico.
La tematica si lega alla prospettata definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, fondato sulla specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati. Al riguardo tra le novità più significative apportate dal decreto correttivo (n. 106/2009) figura la previsione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, basato sull’introduzione di una sorta di patente a punti, tramite un meccanismo di penalità che, consentendo una verifica immediata e continuativa del possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale, escluda la possibilità di esercitare attività imprenditoriale a seguito di accertate e ripetute violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il sistema, esplicitamente previsto per il comparto edile [13], potrà essere esteso, tramite accordi interconfederali, anche ad altri settori di attività [14].
2. Salute e sicurezza e sindacato
L’intervento in materia di salute e sicurezza sul lavoro rientra a pieno titolo in quella scelta partecipativa, che caratterizza l’azione riformatrice di parte del sindacalismo italiano, della Cisl in particolare, attraverso la valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva, specie a livello decentrato, e della bilateralità [15].
La contrattazione collettiva ha infatti svolto, e tuttora è chiamata a svolgere, un ruolo decisivo ai fini della tutela effettiva della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Già in riferimento all’art.9, Stat.lav., del 1970, che ha rappresentato il primo riconoscimento legislativo dell’interesse collettivo alla sicurezza del lavoro, mediante la previsione di rappresentanze specifiche dei lavoratori, poi sviluppatesi nella figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) [16], si è osservato come tra azione negoziale sindacale e previsione legislativa possa individuarsi quasi “un rapporto di circolarità”, nel senso che la disciplina statutaria se da un lato è stata il risultato sul piano legislativo delle rivendicazioni di fine anni ’60, dall’altro a sua volta ha trovato nella regolamentazione contrattuale la fonte pressochè esclusiva di operatività e di concreta applicazione[17].
Il rifiuto della “monetizzazione” del rischio, il controllo di tutti i fattori nocivi, la “validazione consensuale”, cioè la conferma o meno della tollerabilità dell’ambiente di lavoro e delle modifiche proposte da parte della collettività dei lavoratori, sono state le richieste, ed in molti casi le conquiste, del movimento sindacale dei primi anni ‘70[18].
Alla stagione delle lotte contro la nocività in fabbrica fece tuttavia seguito, già a partire dalla metà degli anni ‘70, il periodo della disillusione e dell’autocritica e il ricorrente tentativo di rilancio dell’iniziativa sindacale, tramite anche un maggior raccordo con le strutture pubbliche di controllo, a seguito dell’emanazione della legge di riforma sanitaria (l. n.833/1978).
Il limite di tale modello è da individuare principalmente nel procedere più per campagne che tramite una azione continuativa volta alla gestione dei risultati contrattuali , spiegabile anche per la mancanza di una rete diffusa di supporto esterno all’azione delle rappresentanze per la sicurezza. E’ da notare inoltre, specie negli anni di crisi economica, la marginalità di tale tematica rispetto all’esigenza di garantire i livelli occupazionali e la tenuta delle retribuzioni reali.
Pur non trascurando le considerazioni di chi ritiene che le prassi contrattuali, una volta esaurita la spinta iniziale, abbiano operato un ridimensionamento delle potenzialità racchiuse nell’art.9, Stat.lav., è da dire che la stessa dottrina ha peraltro riconosciuto l’estrema debolezza di una tutela affidata alla sola azione individuale e come del tutto teorica si sia rivelata nei fatti la possibilità di ricorrere alla via giudiziaria. L’esperienza italiana dimostra invece come il ruolo della contrattazione collettiva, in presenza di una modesta iniziativa pubblica in sede di controllo, sia servito a superare una dimensione puramente individuale basata al più sul rifiuto della prestazione in ambiente nocivo, ed abbia rappresentato in taluni casi un incisivo strumento di pressione nei confronti del datore di lavoro per l’adozione in concreto delle misure prevenzionali necessarie.
3. Il sistema di rappresentanza e delle relazioni collettive nel Testo Unico
La recente riforma operata con il d.lgs. n.81/2008, come integrato e corretto dal d.lgs.n.106/2009, c.d. “Testo unico” in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, assegna un ruolo significativo alle parti sociali, chiamate a partecipare, insieme ai soggetti istituzionali, al “sistema di promozione della salute e sicurezza” [19].
La nuova normativa riconosce ampiamente il contributo delle parti sociali in molte delle aree considerate (indirizzo e valutazione delle politiche di prevenzione, sistema informativo, attività promozionali, appalti e sistema di qualificazione delle imprese, modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza, formazione, intervento nel processo penale). Tra gli elementi caratterizzanti, secondo quanto già indicato nei criteri di delega contenuti nella l.n.123/2007, è peraltro da sottolineare il rafforzamento, nell’ambito delle figure del sistema di prevenzione, del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, specie a livello territoriale, e la rivisitazione ed il potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici, ai quali è attribuito anche un compito promozionale, di assistenza tecnico/organizzativa alle imprese.
Tratto distintivo della disciplina è peraltro il necessario coordinamento tra i diversi soggetti operanti in materia ed il consolidarsi di una cultura della prevenzione attraverso un approccio di sistema basato sul “tripartitismo”, principio già affermato nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro [20], e che il decreto estende a tutti i livelli. Si veda in tal senso, a livello centrale, la rivisitazione dei compiti della Commissione consultiva permanente, istituita preso il Ministero del lavoro, nonché a livello territoriale, le competenze dei Comitati regionali di coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza [21], organismi invece esclusivamente interistituzionali nell’ambito del d.lgs.n.626/1994. Tale principio implica la definizione di un quadro, possibilmente chiaro, delle diverse responsabilità istituzionali in un’ottica di integrazione dei ruoli e di confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Si tratta di una significativa novità perché nel nostro Paese, a differenza di altre esperienze europee, scarse sono le pratiche di relazioni (formalizzate) tra parti sociali ed istituzioni. La prospettiva indicata non fa peraltro venire meno, come si evince dalla stessa normativa, il ruolo della contrattazione collettiva, specie a livello decentrato, e delle buone prassi ai fini della specificazione e del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente [22].
D’altro lato il fatto che si dia rilievo alle forme di controllo sociale, tramite la bilateralità, non significa che queste vengano a sostituirsi alle forme di controllo istituzionale, dovendosi considerare l’attività degli organismi paritetici, compresa quella di verifica dell’adozione e dell’efficace attuazione in azienda di modelli di organizzazione e gestione della sicurezza, di natura promozionale ed integrativa di quella ispettiva che, in quanto rivolta al rispetto delle prescrizioni normative, con conseguenze sul piano sanzionatorio, non può che essere esercitata da un soggetto terzo (pubblico).
4. Rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali
La riforma valorizza il ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in una duplice direzione: da un lato attraverso la garanzia di una figura certa di riferimento per ogni realtà lavorativa, mediante il carattere “suppletivo” del rappresentante territoriale nei casi in cui manchi quello aziendale, dall’altro rafforzandone le attribuzioni. Di rilievo è anche l’implementazione delle conoscenze e delle competenze attraverso la formazione [23].
Ne emerge la figura di una rappresentanza specializzata, esponente di quell’interesse collettivo alla sicurezza che si caratterizza come interesse comune ad una pluralità di soggetti che si trovano ad operare in uno stesso ambiente di lavoro, con una specificità costitutiva e funzionale che la distingue sia dalle altre figure del sistema di prevenzione aziendale (la incompatibilità con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione è esplicita) [24] sia dalle stesse rappresentanze sindacali, di cui peraltro può far parte [25].
La disciplina concernente il sistema di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza viene ad impattare su snodi teorici ed applicativi rilevanti quali in particolare il rapporto tra rappresentanze specifiche per la sicurezza e rappresentanze sindacali e più in generale tra contrattazione e partecipazione.
Sulla prima questione è da sottolineare come le previsioni normative confermino, quanto meno per le realtà di certe dimensioni, l’opzione a favore della tendenziale identificazione delle rappresentanze per la sicurezza con le rappresentanze sindacali. E’infatti previsto che nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante per la sicurezza sia scelto “nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda”[26]. E’ da osservare tuttavia come rispetto al rappresentante territoriale, pur rinviando la legge alle modalità di elezione o designazione fissate dalla disciplina collettiva di livello nazionale, si affermi espressamente l’incompatibilità di tale figura “con l’esercizio di altre funzioni sindacali operative” [27].
Sul punto le intese applicative, nonostante alcuni segnali di sfasatura[28], hanno ribadito il modello classico di “canale unico” di rappresentanza, tipico del nostro sistema di relazioni industriali, rispetto ad un sistema di “doppio canale”, caldeggiato invece da buona parte della dottrina [29]. La stessa giurisprudenza ha avvalorato tale opzione [30]. L’attività in materia di salute e sicurezza è del resto strettamente connessa a quella contrattuale, pena il rischio di creare organismi paralleli di rappresentanza, in possibile competizione tra loro, con la conseguenza di indebolire le iniziative di tutela. E’ di tutta evidenza che intervenire sulla sicurezza del lavoro, pur salvaguardando le necessarie competenze specialistiche, significa venire ad incidere sull’organizzazione del lavoro. In tale contesto il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, lungi dal rimanere una figura separata rispetto alle rappresentanze sindacali, deve viceversa partecipare attivamente all’elaborazione delle piattaforme contrattuali aziendali, individuando le priorità da realizzare. Tale prospettiva potrebbe apportare nuova linfa per lo sviluppo di una contrattazione collettiva promozionale, specie a livello decentrato.
Ulteriore snodo decisivo è il rapporto tra contrattazione e partecipazione.
A ben vedere l’antinomia tra i due termini è più apparente che reale; l’evoluzione del sistema di relazioni industriali italiano ha registrato infatti il diffondersi di meccanismi procedurali che hanno favorito l’affermarsi di una contrattazione partecipativa e trasformato l’attività negoziale in un processo dinamico permanente, mediante in particolare lo strumento degli accordi gestionali; in tali casi l’accordo non è più solo fonte di regole generali o di norme professionali bensì momento di una procedura rispetto a scelte organizzative condivise.
L’approccio partecipativo implica peraltro considerare il lavoro come una risorsa indispensabile per le strategie aziendali, nella consapevolezza che l’impresa non è qualcosa di dato e di immutabile, ma offre spazi di libertà dove possono intervenire le rappresentanze dei lavoratori; non si tratta di “strappare” qualcosa ma di individuare soluzioni vantaggiose per entrambe le parti. La scelta partecipativa richiede inoltre di sviluppare autonomia e competenza per non essere subalterni a scelte altrui, ma capaci di esprimere un proprio propositivo punto di vista; è dunque indispensabile la conoscenza dei fattori di successo e di insuccesso dell’impresa.
D’altro lato si è notato che anche nelle esperienze più avanzate di tipo partecipativo, promosse per lo più dalla stessa contrattazione collettiva, è mantenuta una chiara distinzione di ruoli, tra poteri decisionali e poteri di controllo, e non si esclude l’eventualità del ricorso al conflitto.
La contrattazione collettiva non pare dunque porsi come alternativa, ma bensì rafforzativa e complementare dell’impostazione partecipativa. La partecipazione può agire sulle scelte tipicamente organizzative dell’impresa conducendo, anche se non necessariamente, ad accordi gestionali, mentre la contrattazione potrebbe, a sua volta, vedersi riconoscere e/o acquisire spazi importanti anche in chiave regolatoria generale, incrementando gli standard di tutela fissati per legge e/o tramite la specificazione dei contenuti e limiti dell’obbligo di salute e sicurezza, specie a fronte di disposizioni elastiche, venendo così a colmare lacune al momento coperte dalla supplenza giudiziaria.
Il legislatore tende altresì a valorizzare la dimensione orizzontale della rappresentanza, individuando nel territorio il nuovo baricentro della tutela collettiva del lavoro, anche quale risposta ad un mercato del lavoro sempre più flessibile e frantumato. Rilievo assumono in tale prospettiva, oltre a quelli aziendali, anche gli accordi per la definizione di piani di monitoraggio e di presidio del territorio, nell’ambito dei quali collocare l’attività di prevenzione, di sorveglianza sanitaria, di assistenza e di vigilanza[31].
5. Gli organismi paritetici
Il coinvolgimento delle parti sociali trova significativa espressione a livello territoriale negli organismi paritetici, le cui prerogative sono valorizzate in un’ottica promozionale e di supporto tecnico alle imprese. Si tratta di un’ulteriore sede di confronto esterno all’azienda che si affianca alla consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori sul luogo di lavoro. Il decreto n. 81/2008 definisce gli organismi paritetici quali “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento” [32]. Tale definizione si ispira a quella di ente bilaterale (contenuta nell’art.2, comma 1, lett.h), del d.lgs. n.276/2003, attuativo della cd. “legge Biagi”), qualificato, con formula unificante delle funzioni, “quale sede privilegiata per la regolazione del mercato del lavoro”, discostandosene tuttavia per il riferimento al livello nazionale ai fini della rappresentatività [33].
Gli organismi paritetici rappresentano dunque l’istanza specialistica sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, del più ampio genus degli enti bilaterali, con competenza in materia di mercato del lavoro. La regola della pariteticità, che dovrebbe essere già propria degli enti bilaterali quali proiezione sul piano gestionale della fonte negoziale da cui traggono origine, in materia di salute e sicurezza è esplicitata fin dalla denominazione di detti organismi.
In riferimento alle aree di intervento (formazione, soluzione delle controversie relative all’esercizio dei diritti di rappresentanza) le funzioni degli organismi paritetici sono compiutamente valorizzate mediante l’attribuzione di un ruolo di supporto alle imprese “nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro”[34]. La previsione, che riprende alla lettera quanto contenuto nei criteri di delega[35], contempla dunque un sostegno al sistema delle imprese non solo finalizzato al rispetto dei precetti normativi, ma anche di tipo promozionale. Particolare rilievo potrà ad esempio avere l’indicazione di norme tecniche da seguire e la elaborazione e diffusione di buone prassi. A tal fine, purchè si disponga di personale con specifiche competenze tecniche in materia, gli organismi paritetici possono effettuare sopralluoghi negli ambienti di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza [36].
6. Spunti conclusivi
Se definitivo è il quadro legislativo, al fine di evitare gli errori del passato, particolare attenzione va rivolta ai comportamenti tenuti dai diversi soggetti e all’effettiva applicazione delle norme esistenti. Molto spesso infatti gli infortuni sul lavoro sono frutto della violazione di regole elementari di prudenza o di procedure di sicurezza mai seguite. Se l’errore umano è inevitabile è possibile tuttavia monitorare il contesto organizzativo all’interno del quale le persone lavorano, rimuovendo quelle situazioni di criticità che predispongono all’errore. In tale prospettiva l’analisi dei mancati infortuni, un audit continuativo, molto più dell’annuale riunione periodica, una vigilanza partecipata dei lavoratori e delle loro rappresentanze risultano decisivi. Vivere la sicurezza non come obbligo ma come scelta consapevole diventa fondamentale. La tecnica può peraltro essere di aiuto ai fini della prevenzione e della protezione. Certo la sicurezza ha un costo: non si possono infatti volere costi cinesi e sicurezza scandinava; questione di stringente attualità in situazioni di prolungata crisi economica ed occupazionale, in cui è assai probabile che tra i primi ad essere tagliati siano proprio gli investimenti in sicurezza.
Altra tematica, finora poco considerata, è quella del raccordo tra sicurezza e questione retributiva. Se l’ impresa sicura viene a godere di benefici e di contributi pubblici, se può più agevolmente partecipare a gare di appalto, se possiede una maggiore capacità di penetrazione sul mercato, si tratta infatti di capire come tale aumentata qualità del lavoro , a cui hanno contribuito le maestranze, può riflettersi in miglioramenti sul piano retributivo. Non si tratta tanto di stabilire premi individuali legati a campagne aziendali di “infortuni zero” (non sono infrequenti i casi di infortuni sul lavoro mascherati da malattia), quanto riconoscere, anche sul versante economico, attraverso detrazioni fiscali e contributive legate alla sperimentazione di intese collettive per la prevenzione, l’apporto, talora creativo , dei lavoratori per soluzioni migliorative, che si traducono in un beneficio per tutti.
D’altro lato del tutto mistificatoria appare la pretesa contrapposizione tra cultura della sicurezza e regole e sanzioni, che pur ha accompagnato l’elaborazione del Testo Unico e le successive modifiche. Le regole e le sanzioni, da graduare in funzione della gravità degli inadempimenti, infatti non sono altro che gli strumenti di garanzia della cultura della sicurezza, che ne costituisce il fondamento[37], avendo ben presente la gerarchia di valori affermati dalla Costituzione, che vedono (o dovrebbe vedere) il primato della protezione dell’integrità psico-fisica e morale delle persone che lavorano sull’interesse, pur meritevole di rispetto, della produzione.
[1] Cfr. Inail, Rapporto annuale, Roma, luglio 2010.
[2] Con il termine salute, ai sensi dell’art.2, comma 1, lett.o), del d.lgs. n.81/2008 si intende lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
[3] Sui diritti della personalità cfr. già A.DE CUPIS, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A.CICU e F.MESSINEO, IV, t. I°, Milano, 1959, pp.81 ss; G.BRANCA, Sulla indisponibilità dei diritti del lavoratore garantiti dalla Costituzione, in FP,1959, I,pp.803 ss; in particolare C.SMURAGLIA, Indisponibilità e inderogabilità dei diritti del lavoratore, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da G.MAZZONI e L.RIVA SANSEVERINO, II, Padova, 1971, pp. 717 ss.
[4] La disciplina dei profili inerenti le diverse tipologie contrattuali introdotte dalla riforma del mercato del lavoro (c.d. “legge Biagi”), finora dispersa in una pluralità di norme, è stata unificata nel Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro, che estende il suo campo di applicazione “a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi,nonché ai soggetti ad essi equiparati…” (cfr. art.3, 4°comma, d.lgs.n.81/2008). E’ da segnalare peraltro l’introduzione di primi obblighi e relative sanzioni anche per i componenti dell’impresa familiare e per i lavoratori autonomi (cfr. art.21, d.lgs.n.81/2008).
[5] Sull’art.2087, cod.civ., sia consentito rinviare a M.LAI, Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro,Torino, 2010, pp.7 ss.
[6] Cfr., tra gli altri, F.BACCHINI, Il rischio psicosociale, in ISL- I Corsi, 2007, 7, pp.26-34.
[7] Sul benessere organizzativo cfr. in particolare Il benessere e la qualità del lavoro, numero monografico di Tutela, Inas-Cisl, dicembre-marzo 2008/09.
[8] Cfr. R.BELLINI, La persona al centro dell’organizzazione del lavoro, in Tutela, cit., p.9.
[9] A prescindere dunque dal possesso della cittadinanza italiana, problematica di stringente attualità.
[10] Il legame tra sicurezza ed organizzazione del lavoro, già principio ispiratore del modello prevenzionale delineato dal d.lgs.n.626/1994, che si esprime nel fondamentale obbligo, di carattere preventivo e ricorrente della valutazione dei rischi, è ulteriormente precisato nel d.lgs.n.81/2008.
[11] Cfr. F.CARNEVALE-A.BALDASSERONI, Mal da lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Roma-Bari, 1999, p.257.
[12] In tal senso espressamente la circ. Min. lavoro n.29/2006.
[13] Cfr. già le proposte dei sindacati di categoria, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, Feneal-Uil, in Conquiste del lavoro, 25 gennaio 2007, 11.
[14] Cfr. art.17,comma 1, lett.b), di modifica dell’art.27 del d.lgs. n. 81/2008.
[15] Cfr. CISL, Conferenza Nazionale sulla Contrattazione, Linee Guida sulla concertazione locale e sulla contrattazione decentrata, Roma, 15-16 luglio 2010, pp.13/14.
[16]Di cui agli artt. 18 e 19, d.lgs. n.626/1994, da ultimo potenziata nella sua dimensione territoriale e di sito produttivo dagli articoli 47/50, del d.lgs. n.81/2008
[17] Cfr.G.NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995.,p.100.
[18] Cfr. in particolare L.MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986,pp.174 ss; S.RENGA, Modello sindacale di tutela della salute nei luoghi di lavoro dal dopoguerra agli anni novanta, in Lav dir., 1994, pp.615 ss. Sulla contrattazione collettiva di quel periodo cfr. più ampiamente F.CARNEVALE-A.BALDASSERONI, Mal da lavoro. Storia della salute dei lavoratori, cit., specie pp.230 ss.
[19] Definito come il “complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori”, art. 2, comma 1, lett. p).
[20] Cfr. la convenzione n.187, raccomandazione n.197, del 2006, sul quadro promozionale per la salute e la sicurezza del lavoro che, in una prospettiva di miglioramento continuo, prevede l’impegno per gli Stati ratificanti a promuovere, in consultazione con le parti sociali, una politica, un sistema ed un programma nazionali in materia.
[21] Di cui all’art.7, d.lgs.n.81/2008.
[22] Cfr., tra i compiti della Commissione consultiva permanente, quanto riportato nell’art. 6, comma 8, lett. h).
[23] Cfr. art.37, commi 10/12.
[24] Cfr. art.50, comma 7. In tal senso Cass. 15 settembre 2006, n.19965.
[25]Con la rilevante eccezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, cfr. art.48, comma 8. Per la delimitazione delle incompatibilità “con l’esercizio di altre funzioni sindacali operative”, cfr., tra i primi, l’accordo di rinnovo per il settore edilizia, del 19 aprile 2010, Allegato 12).
[26]Cfr.art. 47, comma 4. Cfr. già l’art. 18, comma 3, d.lgs.n.626/1994.
[27]Cfr. art. 48, comma 8; cfr. supra nota n.25.
[28]Ad esempio il componente aggiuntivo (alle rappresentanze sindacali unitarie) previsto per le aziende che occupano tra i 201 e i 300 dipendenti, al fine di evitare una completa sovrapposizione tra le due forme di rappresentanza; cfr. Accordo Confindustria, 22 giugno 1995 (parte I, punto 1.2).
[29] Distinto tra una rappresentanza sindacale con competenza generale e poteri contrattuali e una rappresentanza con competenze specialistiche, espressione della comunità aziendale.
[30] Cfr. tra le altre, Pret. Legnano, 22 gennaio 1996, in Foro it., Rep., 1997, voce Sindacati, n.151; Trib.Milano, 20 dicembre 1997, in Foro it., 1999, I, c.3408; cfr. anche Pret.Torino, 13 gennaio 1997, in Riv.it.dir.lav.,1998, II, 274 ss.
[31]Molti di questi punti erano già contenuti nella Piattaforma sindacale per la prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro, documento conclusivo della Prima conferenza unitaria dei rls-rlst, Modena, 22-23 settembre 2000, il cui livello di realizzazione è stato nel complesso deludente.
[32]Cfr. art.2, comma 1, lett.ee).
[33]Agli enti bilaterali, di cui all’art.76, comma 1, lett.a), d.lgs. n.276/2003, unitamente alle Università, era affidata nello schema preliminare di decreto una delicata funzione certificatoria dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza, con presunzione di conformità alle prescrizioni normative, prospettiva ora accantonata.
[34]Cfr. art.51, comma 3.
[35]Cfr. art.1, comma 2, lett.h), l.123/2007.
[36]Il decreto legislativo n.106 precisa ulteriormente che dello svolgimento delle attività e servizi di supporto al sistema delle imprese, su richiesta delle stesse, gli organismi paritetici rilasciano apposita attestazione, tra cui l’ “asseverazione” dell’adozione e dell’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza, di cui all’articolo 30, della quale gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività (cfr. art.51, comma 3-bis, d.lgs.n.81/2008). In tale caso dunque il giudizio formulato dall’organismo paritetico potrà tra l’altro avere efficacia esimente ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, di cui al d.lgs. n.231/2001. A tal fine si richiede che gli organismi paritetici siano muniti di strutture con competenze tecniche specifiche. D’altro lato, in un equilibrato raccordo tra vigilanza pubblica e sistema della bilateralità, l’attestazione rilasciata dagli organismi paritetici risulta di carattere solo indicativo, e non certo vincolante, per l’esercizio e la pianificazione dell’attività ispettiva, che potrà, se del caso, indirizzarsi prioritariamente verso settori ed imprese del tutto prive di forme di controllo sociale.
[37] Cfr. sul punto P.PASCUCCI, Dopo la legge n.123 del 2007. Prime osservazioni sul titolo I del d.lgs.9 aprile 2008, n.81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Quaderni di Olympus –1, edizioni studio @lfa, Pesaro, 2008, pp.160 ss.