Gorizia-Nova Gorica, capitale europea della cultura 2025
di Francesco Lauria
“La sposa si accorse di avere due scarpe destre per un errore del negoziante. Ma quella sera richiusero il confine e, per il matrimonio, dovette rimediare con due calzature della madre”.
Ricordo esattamente quando lessi queste parole, al sole del Parco Piuma, a Gorizia, ben prima che il confine della Transalpina venisse riaperto.
Una storia degli anni sessanta, quando Italia e Jugoslavia erano due mondi separati, anche se talvolta dialoganti, e dove alla minima tensione il “valico di Gorizia”, poteva essere serrato senza comunicazione preventiva.
La Transalpina era una bella piazza divisa in due da una rete metallica, Gorizia come Berlino si è detto, e non si era molto distanti dal vero.
Di là, la bellissima stazione austroungarica dei treni, con una scintillante, grande, stella rossa che guardava l’Italia e i goriziani. Almeno fino alla “rivoluzione” slovena del 1991.
La Transalpina con un valico di seconda categoria, dove noi universitari fuorisede, che non eravamo dotati di prepusnica-lasciapassare non potevamo attraversare il confine, dovendo fare il giro ben più largo del valico internazionale della Casa Rossa, appena sotto il vecchio seminario di Via Alviano, ristrutturato per ospitare la nostra Università, il corso di Scienze Internazionali e Diplomatiche.
Qualche anno prima i nostri predecessori avevano assistito attoniti dalle finestre dell’Università all’esplosione del carro armato federale, con quattro giovanissimi militari dentro, e alla sparatoria che l’aveva preceduta con la milizia nazionale slovena.
Tutti eravamo andati a controllare i segni di proiettili che ancora si vedevano nel territorio italiano, sul muro della pizzeria che stava al centro del grande parcheggio del valico.
La separazione tra le due città, alla fine degli anni Novanta, era ancora forte, ma già si nutriva dell’esplodere della globalizzazione e di una Nova Gorica dove vi era la più alta concentrazione di casinò d’Europa e dove noi universitari andavamo, proprio grazie al pulmino del casinò, unico collegamento tra le due città, ad ascoltare concerti gratuiti magari senza portafoglio, per non essere indotti in tentazione dalle roulette e dalle slot machine.

Quello di Gorizia era anche il confine dell’Europa di Schengen.
Tantissimi curdi, siriani, afgani, africani tentavano (e ancora tentano) di attraversare la frontiera nella notte, alla ricerca di un sogno di libertà e di vita nuova.
Molti venivano presi dalle pattuglie miste italo-slovene e portati al Centro Caritas dove venivano rifocillati e forniti di foglio di via e dove si poteva anche scambiare quattro chiacchiere.
Ricordo un curdo, dotato di kefiah, che voleva convincermi che il suo Kurdistan era più grande degli… Stati Uniti!
Poi vennero il dicembre 2002 e il 2004 il progressivo superamento della rete, le lacrime, i lutti e i ricordi che si mischiavano alla voglia di futuro.
Di tornare centro d’Europa e non solo reciproca periferia.
Gorizia Nova Gorica di nuovo unite, nonostante la storia, la guerra, l’occupazione italiana, le foibe, le ideologie del Novecento.
La forza di un fiume.
L’Isonzo – Soca che qui non rappresenta un confine, ma un filo, bene comune, acqua pura.
Gorizia e Nova Gorizia oggi sono le capitali, anzi la capitale europea della cultura del 2025.
Io sono lontano.
Ma guardo dentro di me un orizzonte di gioia e di Speranza.