di Marco Lai
Sommario: 1. Introduzione. — 2. Il Protocollo d’intesa sulla misurazione della rappresentatività, titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva, del 31 maggio 2013. — 3. Rappresentanza e giurisprudenza costituzionale sull’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori.
- 1.Introduzione
- 2.Il Protocollo d’intesa sulla misurazione della rappresentatività, titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva, del 31 maggio 2013
La sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, sull’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori, “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”, solleva una serie di interrogativi in ordine ai criteri selettivi della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al titolo III.
Il dibattito è aperto tra chi ritiene sufficiente la via negoziale, alla luce della disciplina posta dall’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, concernente in particolare le regole della rappresentanza e l’efficacia della contrattazione aziendale e, soprattutto, del Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, sulla misurazione della rappresentatività, titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale (i contenuti dei due accordi sono ora unificati e meglio precisati nel Testo Unico sulla Rappresentanza, sottoscritto da Confindustria – Cgil, Cisl e Uil il 10 gennaio 2014), e chi invece opta per una soluzione legislativa, più o meno rispettosa dell’autonomia collettiva ([1]).
La regolazione della rappresentanza sindacale figura anche tra le proposte più di recente avanzate, di ulteriore modifica della legislazione sul lavoro ([2]).
Il Protocollo d’intesa sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il 31 maggio 2013 in materia di rappresentanza sindacale, definito “storico” o “rivoluzionario” ([3]), più semplicemente è da qualificare come “necessario” per “un sistema di relazioni industriali “normali”, meno conflittuali, più regolate, dove gli accordi si fanno con chi ha la maggioranza ed una volta conclusi si applicano a tutti e da tutti devono essere rispettati” ([4]).
Il Protocollo si occupa della misurazione della rappresentatività e della titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale, ponendosi espressamente come attuativo, nonché complementare, dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, concernente in particolare le regole della rappresentanza e l’efficacia della contrattazione aziendale ([5]).
D’altro lato il Protocollo modifica su punti significativi, ma non sostituisce, l’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 sulle RSU, impegnando le parti firmatarie a rendere coerente la disciplina ivi disposta con i nuovi principi stabiliti in tema di rappresentanza.
Il Protocollo in esame rappresenta il “punto di arrivo” di una sorta di “percorso circolare”, a partire dal documento sindacale unitario “Democrazia e rappresentanza”, del maggio 2008, attraverso l’Accordo separato di riforma degli assetti contrattuali, del gennaio 2009, il citato Accordo interconfederale, del 28 giugno 2011, le Linee programmatiche per la crescita della produttività, del novembre 2012, e da ultimo il documento unitario sulla rappresentanza, del 30 aprile 2013 ([6]).
D’altro lato Il Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 costituisce anche un “punto di partenza”, dal momento che per diventare operativo necessita di una successiva regolamentazione di dettaglio, affidata alla contrattazione collettiva nazionale dei singoli settori, nonché di specifiche convenzioni con gli enti certificatori (INPS e CNEL) della rappresentatività sindacale.
I problemi da risolvere per relazioni sindacali ordinate sono prevalentemente legati al superamento della c.d. “via giudiziale alla rappresentanza”, intrapresa da Fiom-Cgil, in riferimento siaalla vicenda Fiat, sia alla generale applicazione ed esigibilità del Ccnl Metalmeccanici, del dicembre 2012, sottoscritto da Fim-Cisl e Uilm-Uil.
E’ peraltro da sottolineare come l’ambito di estensione del Protocollo sia al momento limitato prevalentemente al settore industriale, con esclusione del terziario e degli altri settori (bancari, assicurativi, ecc…), non risultando altresì applicabile alle imprese non associate a Confindustria ([7]) (un accordo analogo è stato siglato il 1° agosto 2013 da Cgil, Cisl, Uil con Confservizi, per le imprese che gestiscono servizi pubblici locali, nonché, il 18 settembre 2013, per il settore cooperativo). Il tema della rappresentatività, specie dopo l’uscita di Fiat da Confindustria, non riguarda dunque solo le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ma anche, e forse più, l’associazionismo datoriale.
Il Protocollo d’intesa dà attuazione ai principi contenuti nel documento unitario del maggio 2008 su Democrazia e rappresentanza, introducendo anche nel settore privato il meccanismo di verifica della rappresentatività già sperimentato nel pubblico impiego (si veda l’articolo 43, del d.lgs. n. 165/2001 e s.m.i.), pur con significative differenze ([8]), ovvero un mix tra dato associativo e dato elettorale (concernente le elezioni delle RSU), frutto di compromesso tra le diverse concezioni sindacali (il sindacato degli iscritti per Cisl e Uil; il sindacato di tutti i lavoratori per la Cgil).
Misurazione della rappresentatività
Ai fini dell’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale di categoria la rappresentatività di ogni organizzazione sindacale, così come definita nell’intesa del 28 giugno 2011, ossia il 5%, “sarà determinata come media semplice fra la percentuale degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU (sul totale dei votanti), quindi, con un peso pari al 50% per ognuno dei due dati” (Parte I°, punto 5). Precisando l’Accordo del 28 giugno 2011, si tratta dunque di una media aritmetica semplice e non di una media aritmetica ponderata ([9]).
Il numero delle deleghe viene acquisito e certificato dall’INPS, tramite apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali (Uniemens), e trasmesso al CNEL ([10]). Insieme ai dati relativi alle votazioni per le RSU, raccolti, se possibile, tramite Comitati provinciali di Garanti o analoghi organismi, il CNEL, quale ente certificatore, determina la rappresentanza per ogni singola organizzazione sindacale e per ogni contratto collettivo nazionale di lavoro (Parte I°, punti 2 e 4).
“Ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nella elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni Organizzazione Sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie” (Parte I°, punto 3, primo periodo). Ciò non preclude che, ai sensi del punto 6, 1°, 2° e 3° capoverso, che richiama in particolare quanto disposto dall’Accordo sulle RSU, del 20 dicembre 1993, che anche Organizzazioni non affiliate alle Confederazioni firmatarie o addirittura non affiliate a Confederazioni, legittimate a dar vita a RSA, possano aderire all’intesa, ed i loro voti computati ai fini della misurazione della rappresentatività anche sul piano nazionale ([11]).
“Lo stesso criterio si applicherà alle RSU in carica, elette cioè nei 36 mesi precedenti la data in cui verrà effettuata la misurazione” (Parte I°, punto 3, secondo periodo). E’ da rilevare la difficoltà di tale accertamento, da operare per il passato.
“Laddove siano presenti RSA, ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sarà rilevato il solo dato degli iscritti (deleghe certificate) per ogni singola organizzazione sindacale” (Parte I°, punto 3, terzo periodo). Pare pertanto valorizzato il dato associativo rispetto al dato elettorale.
Pur confermando il principio posto dall’Accordo del 20 dicembre 1993, secondo cui la partecipazione alla procedura di elezione delle RSU equivale a rinuncia a costituire RSA, nonché l’impegno a non costituire RSA nelle realtà in cui siano state o vengano costituite le RSU, si precisa che “il passaggio alle elezioni delle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle Federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie” (Parte I°, punto 6, 3° capoverso). Se dunque si sono privilegiate le RSA, non si potrà essere costretti a sostituirle con le RSU.
Le RSU scadute alla data di sottoscrizione dell’intesa saranno rinnovate nei successivi sei mesi” (Parte I°, punto 6, 4° capoverso). Qualora non sia stata nel frattempo emanata la relativa disciplina di dettaglio da parte delle categorie è da domandarsi se il rinnovo delle RSU scadute debba avvenire con le vecchie o con le nuove regole.
“Le RSU saranno elette con voto proporzionale” (Parte I°, punto 6, 5° capoverso). Tra le principali novità del Protocollo d’intesa vi è dunque il superamento della riserva del terzo, prevista dall’Accordo del 20 dicembre 1993, a favore delle liste presentate dalle associazioni sindacali firmatarie di Ccnl applicato nell’unità produttiva. Tutte le RSU infatti saranno ora elette in proporzione ai voti ricevuti. Tale previsione, se non temperata dalla disciplina attuativa di categoria, potrebbe determinare l’esclusione in azienda di sigle sindacali, pur rappresentative sul piano nazionale, dando luogo ad un “effetto cappotto”, per cui tutti i seggi, in base al quorum richiesto, potrebbero essere appannaggio di un’unica sigla sindacale.
“Il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito” (Parte I°, punto 6, 6° capoverso), regola che nell’Accordo del 20 dicembre 1993 sulle RSU valeva solo in caso di dimissioni ([12]). Si rafforza dunque il ruolo delle organizzazioni sindacali che presentano le liste, introducendo una sorta di “vincolo di mandato”. La previsione trova applicazione anche nell’ipotesi in cui il componente di RSU si dimetta dal sindacato che lo ha presentato in lista senza peraltro passare ad altro sindacato.
Di particolare rilievo è la questione della titolarità della contrattazione collettiva di secondo livello. L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, nel ribadire un sistema contrattuale articolato su due livelli, nazionale e decentrato, mentre conserva un raccordo oggettivo, stabilendo che “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge” (punto 3), sembra attenuare quello soggettivo, non precisando se le RSU o RSA acquistino la titolarità esclusiva del potere negoziale in azienda (il coinvolgimento del sindacato territoriale è previsto solo nel caso di intese derogatorie, si veda punto 7) ([13]). Venendo ora meno la riserva del terzo si pone ancor più la questione della co-titolarità, ai fini della contrattazione aziendale, tra RSU e strutture sindacali territoriali, secondo quanto espressamente previsto dall’Accordo del 20 dicembre 1993 sulle RSU (Parte I, punto 5, secondo periodo). L’armonizzazione delle regole dell’Accordo del 20 dicembre 1993 con i nuovi principi stabiliti dal Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, con specifico riferimento “all’esercizio dei diritti sindacali e, segnatamente, con quelli in tema di diritto di assemblea, in capo alle Organizzazioni sindacali firmatarie…., titolarità della contrattazione di secondo livello e diritto di voto per l’insieme dei lavoratori dipendenti” ([14]), è rimessa alle parti firmatarie (Parte I°, punto 7) (nessuna precisazione al riguardo è contenuta nel Testo Unico sulla Rappresentanza, del 10 gennaio 2014).
Titolarità ed efficacia della contrattazione
Fermo restando che sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano una rappresentatività non inferiore al 5%, come sopra considerato, si rinvia ai regolamenti delle Federazioni di categoria, per ogni singolo Ccnl, per la decisione delle “modalità di definizione della piattaforma e della delegazione trattante e le relative attribuzioni” nella prospettiva di favorire la presentazione di piattaforme unitarie (Parte II°, punto 2, primo capoverso).
“In assenza di piattaforma unitaria, la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che la negoziazione si avvii sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% + 1” (Parte II°, punto 2, secondo capoverso). Si prevede dunque, quale novità per il nostro ordinamento, una sorta di “obbligo a trattare”, per la parte datoriale, sulla base della piattaforma presentata dalle organizzazioni sindacali complessivamente maggioritarie. D’altro lato l’esistenza di una piattaforma maggioritaria, definita a monte o maturata nel corso della trattativa, rappresenta una premessa indispensabile per l’efficacia e l’esigibilità del Ccnl.
I contratti collettivi nazionali di lavoro sono efficaci ed esigibili qualora si verifichino due condizioni: da un lato il contratto sia sottoscritto da almeno il 50% +1 delle organizzazioni sindacali deputate a trattare; dall’altro sia validato, tramite consultazione certificata, dalla maggioranza semplice dei lavoratori (del settore), secondo modalità operative definite dalle categorie. La sottoscrizione del Ccnl in base a tale procedura diviene vincolante per le parti (Parte II°, punto 3). Sul punto si è osservato come il Protocollo in esame, spingendosi ben oltre il modello del settore pubblico, dia luogo ad una “soluzione compromissoria piuttosto peculiare”, da un lato perchè il consenso (“a monte”) dei lavoratori poteva ritenersi espresso nelle elezioni delle RSU, dall’altro perché affidando alla previa consultazione dei lavoratori l’approvazione definitiva dell’accordo, finisce per spostare l’attenzione sulla maggiore o minore capacità di presa delle associazioni sindacali sul corpo elettorale ([15]).
Particolare importanza avranno dunque le modalità operative stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto (referendum, assemblee, altre forme di consultazione).
“Il rispetto delle procedure sopra definite comporta,…. oltre l’applicazione degli accordi all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici, la piena esigibilità per tutte le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie della presente intesa” ([16]). “ Conseguentemente le parti firmatarie e le rispettive Federazioni si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti” (Parte II°, punto 4). La tenuta della previsione nei confronti della parte sindacale dissenziente, teoricamente titolata a negoziare, potrebbe risultare assai problematica.
Si rinvia alla disciplina nazionale di categoria anche per la definizione di clausole e/o procedure di raffreddamento e per le conseguenze di eventuali inadempimenti (Parte II°, punto 5). E’ da ritenere che le clausole di tregua sindacale e le eventuali sanzioni per i casi di inadempimento abbiano come destinatari le organizzazioni sindacali e non i singoli lavoratori (si veda espressamente in tal senso l’Accordo del 28 giugno 2011, punto 6, ed ora il Testo Unico sulla Rappresentanza, del 10 gennaio 2014) ([17]).
Si afferma inoltre l’impegno delle parti firmatarie a far rispettare i principi contenuti nell’intesa da parte delle rispettive organizzazioni di categoria ad esse aderenti e delle rispettive “articolazioni a livello territoriale e aziendale” (Parte II°, punto 6). La previsione mira a risolvere la questione sollevata da Tribunale di Roma, 9 maggio 2013, che ha respinto la richiesta della Fiom-Cgil, basata sui criteri stabiliti dall’Accordo del 28 giugno 2011, di essere obbligatoriamente coinvolta nel negoziato sul rinnovo del Ccnl di settore, precisando che il menzionato Accordo interconfederale vincola solo le organizzazioni stipulanti (i sindacati confederali) ma non le organizzazioni ad esse aderenti (categorie, territori). In via transitoria, in attesa della disciplina attuativa di categoria, eventuali comportamenti non conformi agli accordi saranno oggetto di procedura arbitrale da svolgersi a livello confederale (cfr. Testo Unico sulla Rappresentanza, del 10 gennaio 2014).
Le parti firmatarie sono infine impegnate a “monitorare la puntuale attuazione” dei principi contemplati nel Protocollo d’intesa, nonché a concordare modalità di definizione di eventuali controversie sorte sul piano applicativo (Parte II°, punto 7).
A distanza di qualche mese dalla stipula del Protocollo in esame la disciplina attuativa, da parte delle Federazioni di categoria, risulta tuttavia pressoché inesistente. Ciò indebolisce indubbiamente la posizione di chi, come chi scrive, ritiene che le parti sociali siano capaci di definire autonomamente un sistema ordinato di relazioni sindacali, senza bisogno di supplenza legislativa o giudiziaria.
3. Rappresentanza e giurisprudenza costituzionale sull’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori
La Corte costituzionale, con sentenza n. 231, del 23 luglio 2013 (su ricorso di Tribunale di Modena, ordinanza del 4 giugno 2012, replicata da ordinanza Tribunale di Vercelli, del 25 settembre 2012 e Tribunale di Torino, del 12 dicembre 2012), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda, abbiano comunque partecipato alla negoziazione di tali contratti.
La decisione della Corte, alla luce delle sue motivazioni, deve essere letta in una prospettiva di evoluzione, e non già di rottura, dell’interpretazione costituzionale dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori. In particolare la Corte, già con sentenza n. 244/1996 (cfr. anche ordinanza n. 345/1996, ribadita dalle ordinanze n. 148/1997 e n. 76/1998) aveva affermato che ai fini della costituzione di rappresentanze sindacali in azienda “non è sufficiente la mera adesione formale ad un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto”, valorizzando dunque l’effettività dell’azione sindacale ([18]). Né d’altro lato è sufficiente la stipula di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto “che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina” ([19]).
Lo stesso criterio selettivo della “partecipazione al processo negoziale”, che nel 1996 era stato utilizzato per salvare l’articolo 19 da profili di illegittimità costituzionale (sentenza interpretativa di rigetto) è ora richiamato per affermare l’incostituzionalità della norma statutaria qualora essa fosse intesa, secondo la sua accezione letterale, come limitata ai soli soggetti firmatari di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva (sentenza additiva di accoglimento) ([20]).
La Corte peraltro non elimina il requisito selettivo che legittima il sindacato a costituire una RSA. Se tuttavia nel 1996 la Corte aveva trasformato il requisito meramente formale (la firma del contratto) in un requisito misto formale e sostanziale (firma e partecipazione attiva alla trattativa), oggi la Corte fa un altro passo ancora più deciso verso l’impostazione sostanzialistica, in quanto ritiene sufficiente la sola partecipazione alle trattative, anche se manca la firma del contratto ([21]).
L’attenzione si sposta dunque su cosa debba intendersi per “partecipazione al negoziato”(la semplice presentazione di una piattaforma rivendicativa non pare sufficiente al riguardo) ([22]), concetto assai più labile di quello di “firmatario” di contratto collettivo, che implica quanto meno una assunzione di responsabilità nella gestione e nel rispetto di quanto concordato.
Se è vero che può esservi firma senza negoziato è altrettanto vero che anche un negoziato privo di firma si presta ad ambiguità e strumentalizzazioni. Si è osservato come la firma del contratto sia rilevante non solo sul piano civil-contrattualistico, ma anche sul piano delle relazioni industriali perché è indicativa di una qualità del sindacato di notevole importanza, quella relativa alla capacità di mediare per la necessità di pervenire ad un accordo. E’ proprio qui che si colloca la differenza tra il sindacato dialogante ed il sindacato intransigente ([23]).
D’altro lato se la partecipazione al negoziato diventa il presupposto per l’esercizio dei diritti sindacali, ci si è domandati se il rifiuto di avviare trattative da parte del datore di lavoro non possa configurare condotta antisindacale, ai sensi dell’articolo 28, dello Statuto dei lavoratori ([24]). Non sembrano con ciò superati i principi civilistici di libertà contrattuale e di mutuo riconoscimento che hanno fin qui caratterizzato l’esercizio dell’autonomia collettiva, e la loro sostituzione con un principio di obbligo a trattare, come del resto si evince da quanto indicato in via conclusiva dalla stessa Corte costituzionale al legislatore ([25]).
Autorevole dottrina ha cercato di precisare, a partire dalla distinzione tra relazioni collettive non negoziali (informazione, consultazione, confronto sindacale) e negoziali, cosa debba intendersi per “partecipazione attiva al negoziato” ([26]), prendendo a riferimento la regolamentazione delle trattative dei contratti collettivi nazionali e aziendali contenuta nel Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 e nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 ([27]).
Accanto alla stipulazione del contratto collettivo o alla partecipazione all’attività negoziale, criterio prioritario di selezione per la fruizione dei diritti sindacali, di cui al titolo III, dello Statuto dei lavoratori, è peraltro quello della rappresentatività dell’associazione sindacale, misurabile secondo criteri oggettivi([28]), come del resto contemplato nella formulazione originaria dell’articolo 19, lettera a) (lettera abrogata a seguito degli esiti del referendum del giugno 1995).
Rappresentatività per l’accertamento della quale il Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 fornisce ora specifici criteri di misurazione, ai fini dell’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale, combinando dato associativo e dato elettorale, criteri che possono tornare utili anche per l’applicabilità dei diritti sindacali, ex articolo 19, dello Statuto dei lavoratori ([29]).
Sul punto il Testo Unico sulla Rappresentanza, del 10 gennaio 2014, precisa che “ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 19 e ss. della legge 20 maggio 1970, n. 300, si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del ccnl definito secondo le regole del presente accordo”.
E’ peraltro da sottolineare che quelle consacrate dallo Statuto sono le RSA, espressione dei soli iscritti alle associazioni sindacali, poi ricondotte dalla prassi e dalla disciplina confederale, seppur con autonomia delle categorie, alle RSU. La scelta al riguardo deve rimanere aperta, affidata alla regolamentazione attuativa delle Federazioni di categoria, in un contesto (in taluni settori) di perdurante divisione sindacale, per cui il passaggio dalle RSA alle RSU non può essere imposto come unica soluzione ([30]).
Le ripercussioni della decisione della Corte sul piano operativo, ed in particolare nella vicenda Fiat, non comportano tuttavia una uniformità di trattamento tra sindacati nel sistema di relazioni industriali, potendosi distinguere al riguardo la posizione dei sindacati stipulanti, e per questo coinvolti nella gestione ed applicazione del contratto collettivo, ai quali sono riconosciuti i diritti di partecipazione a ciò funzionali, da quella dei sindacati non firmatari, ai quali stante la loro rappresentatività, in quanto soggetti negoziatori sul piano nazionale, sarà riconosciuto il diritto (quale“minimo legale”) di costituire RSA, con le connesse agibilità sindacali ([31]).
Nella parte finale della sua decisione, come accennato, la Corte costituzionale, sul tema cruciale dei criteri selettivi della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al titolo III, dello Statuto dei lavoratori (nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale) individua una molteplicità di soluzioni, che rimette al legislatore. Queste “potrebbero consistere, tra l’altro, nella valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro”.
A ben vedere tuttavia la disciplina contenuta nell’Accordo del 28 giugno 2011 e nel Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 pare fornire risposta al riguardo, senza necessità di ulteriore intervento legislativo. D’altro lato anche il recepimento in legge della disciplina pattizia potrebbe rivelarsi non del tutto conforme al dettato costituzionale (articolo 39, comma 4, Cost.), specie in riferimento alle procedure ivi previste per garantire efficacia erga omnes al contratto collettivo nazionale ([32]).
Rimane il problema della tenuta ed esigibilità della disciplina pattizia, in particolare per le parti datoriali non firmatarie ([33]).
Anche in questa legislatura sono stati presentati disegni e proposte di legge volti a rivisitare la normativa legale della RSA (si veda, tra gli altri il disegno di legge n. 993, d’iniziativa dei senatori Ichino ed altri; la proposta di legge n. 1376, d’iniziativa del deputato Polverini) o a recepire in legge la disciplina pattizia delle RSU (si veda, ad esempio, la proposta di legge n. 519, d’iniziativa dei deputati Damiano ed altri), talora nell’ambito di interventi più complessivi di regolamentazione della contrattazione collettiva e della sua efficacia. Di interesse è peraltro il legame, contemplato in talune proposte, tra rappresentanza e partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti alla gestione delle imprese, prospettiva già indicata nella delega conferita al Governo dalla c.d. “legge Fornero” (art. 4, commi 62 e 63, legge n. 92/2012), e mai attuata. Né sono mancate soluzioni di ripristino della lettera a), dell’articolo 19, con formulazione aggiornata al criterio della rappresentatività comparata ([34]).
Al riguardo è da ritenere che l’ordinamento intersindacale ([35]), espressione di parte della società civile, sia da configurarsi come distinto ed autonomo dall’ordinamento statuale, trovando al suo interno le regole di funzionamento. Nel caso peraltro, oggi assai frequente, di “complementarietà tra ordinamenti” ([36]), e ancor più su materie di preminente interesse sindacale, il legislatore non potrà che limitarsi a rinviare alla disciplina pattizia, come del resto espressamente affermato dalla stessa Corte Costituzionale (laddove sottolinea che una soluzione potrebbe essere quella di “attribuire al requisito previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (del) carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente”).
Seguendo tale ragionamento peraltro, accanto all’opzione “minimalista” del semplice richiamo nel testo dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori, alle regole degli accordi interconfederali vigenti, potrebbe non essere necessario alcun intervento legislativo, dal momento che l’attuale norma statutaria, già consente di essere interpretata, per i criteri selettivi della rappresentatività sindacale, come rinvio, con valenza generale, a quanto definito dalla disciplina pattizia.
Firenze, 12 gennaio 2014
La rappresentanza sindacale tra contrattazione, legge e giurisprudenza – Riassunto. L’A. prende in esame il tema della rappresentanza sindacale alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 231/2013. Dopo avere esaminato la disciplina relativa alla misurazione della rappresentatività, della titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva contenuta nel Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, evidenzia in particolare che ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali e della tutela privilegiata di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori, accanto alla stipulazione del contratto collettivo o alla partecipazione all’attività negoziale, criterio prioritario di selezione è quello dellarappresentativitàdell’associazione sindacale. Nel dibattito aperto tra intervento legislativo e soluzione negoziale propende decisamente per questa seconda, richiamando in tal senso, in via interpretativa, quanto suggerito dalla stessa Corte costituzionale al legislatore a proposito dell’art. 19, dello Statuto dei lavoratori.
([1]) Cfr., tra gli altri, F. CARINCI, Il buio oltre la siepe: Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, in q. Rivista, 2013, 899 ss.; P. ICHINO, Rappresentanze sindacali aziendali: la Consulta non risolve il problema, in www.pietroichino.it; F. LISO, La decisione della Corte costituzionale sull’articolo 19 della legge n. 300/1970, in www.federalismi.it; M. MAGNANI, Le rappresentanze sindacali in azienda tra contrattazione collettiva e giustizia costituzionale. Prime riflessioni a partire da Corte costituzionale n. 231/2013, in ADAPT, W. P., n. 135/2013; A. MARESCA, Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, in ADAPT, L.S. e-Book series, n. 13/2013; R. PESSI, Rappresentanza e rappresentatività sindacale tra contrattazione collettiva e giurisprudenza costituzionale, in q. Rivista, 2013, 950 ss; G.. SANTORO-PASSARELLI, La partecipazione alle trattative come criterio di misurazione della rappresentatività sindacale e l’applicazione dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (nota a C. cost. 23 luglio 2013, n. 231), in q. Rivista, 2013, 1143 ss.; M. TIRABOSCHI, L’articolo 19 dello Statuto dopo l’intervento della consulta, in GLav., n. 30, 2013, 12 ss; T. TREU, Le regole delle Relazioni industriali: test per l’autoriforma, in Quad. Rass. Sind., n. 3, 2013.
([2] ) Cfr. le linee generali del Jobs Act presentato dal Partito democratico, dove si prospetta l’adozione di una “legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende”.
([3]) Cfr., tra i primi, i contributi di G. CAZZOLA, E. MASSAGLI, F. NESPOLI, M. TIRABOSCHI, P. TOMASSETTI, G. USAI, pubblicati su Boll. ADAPT, Speciale, n. 15, 6 giugno 2013; cfr. anche i contributi di F. CARINCI, M. DEL CONTE, M. MARAZZA, M.P. POTESTIO, P. TOSI, A. TURSI, A. VALLEBONA, pubblicati in q. Rivista, 2013, 598 ss.; nonché di A. MARESCA, A. VISCOMI, in RIDL, I, 2013, 707 ss.
([4]) Cfr. G. USAI, L’accordo sulla rappresentanza sindacale: un altro passo verso relazioni industriali “normali”, in Boll. ADAPT, op. cit.
([5]) Sottolinea come “Dal combinato disposto dei due documenti scaturisce pertanto un sistema integrato di disciplina delle dinamiche negoziali tra livello contrale e periferico, fondato su tecniche regolative coerenti e sul comune obiettivo di governare il naturale pluralismo delle relazioni industriali mediante “regole del gioco” effettive e condivise” , I. SENATORI, Rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva dopo il Protocollo del 31 maggio 2013, inQuaderni Fondazione Marco Biagi, n. 1/2013, 2. Sull’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sia consentito rinviare a M. LAI, Rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva di prossimità: profili interpretativi, in RIMP, 2011, 811 ss.
([6]) Cfr. E. MASSAGLI, Non è ancora storico, ma può essere rivoluzionario, in Boll. ADAPT, op. cit.
([7]) In data 6 giugno 2013 è stata sottoscritta pressochè analoga intesa tra Ugl e Confindustria ed in data 18 giugno 2013 tra Cisal e Confindustria.
([8]) Concernenti in particolare la minore “resistenza” degli Accordi interconfederali nel settore privato rispetto al settore pubblico ; cfr. in particolare F. CARINCI, Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), in q. Rivista, 2013, 598 ss.
([9]) D’altro lato è da segnalare come nell’Accordo del 28 giugno 2011 (punto 1) il 5% sia riferito al “totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro”.
([10]) Si pone il problema del computo delle tessere sindacali pagate brevi manu dal lavoratore per paura di ritorsioni, prassi assai diffusa in alcuni settori, quali l’edilizia, rispetto a cui un ruolo significativo potrebbe essere svolto dalla bilateralità.
([11]) Cfr. in tal senso F. CARINCI, op. cit., 602.
([12]) La giurisprudenza ha negato che il semplice passaggio ad altra organizzazione sindacale avesse analogo effetto, cfr., tra le altre, Cass. 20 marzo 2008, n. 7604.
([13]) Cfr., sul punto, in particolare F. CARINCI, Adelante Pedro, op.cit., 609-610.
([14]) L’Accordo del 20 dicembre 1993 sulle RSU, regolando l’elettorato attivo e passivo (Parte II°, punto 3), stabilisce il diritto di voto per tutti i lavoratori dipendenti non in prova in forza all’unità produttiva alla data delle elezioni, rinviando alla contrattazione di categoria per i limiti e l’esercizio del diritto di elettorato passivo dei lavoratori non a tempo indeterminato. Il Testo Unico sulla Rappresentanza, del 10 gennaio 2014, estende altresì espressamente il diritto di voto agli apprendisti ed ai lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato che prestino la propria attività al momento del voto.
([15]) “Ciò basterebbe per far dubitare della bontà di una soluzione, di cui risulta più facile cogliere la rilevanza ideologica che la funzionalità pratica”; in tal senso F. CARINCI, op. cit., 613.
([16]) Si è osservato come “Dalla violazione di questa sequenza, peraltro, non sembrano poter conseguire effetti idonei a scalfire la validità inter partes degli accordi ma solo l’inoperatività degli effetti estensivi disposti dal Protocollo”; cfr. I. SENATORI, op. cit., 11, nota n. 18.
([17]) In tal senso F. CARINCI, op. cit., 615.
([18]) Per l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul punto cfr. F. CARINCI, Il buio oltre la siepe: Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, op.cit., 899 ss.
([19]) Esclusivo riferimento dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori è dunque il contratto collettivo c.d. normativo e non anche il contratto collettivo obbligatorio (che ha per oggetto diritti ed obblighi delle parti stipulanti – sindacati ed imprese) o gestionale (in cui la partecipazione del sindacato alle trattative con il datore di lavoro costituisce l’adempimento di un obbligo legale). Tale soluzione pare trovare conferma nella sentenza n. 231/2013, che si richiama all’attività svolta dai sindacati “quali rappresentanti dei lavoratori in azienda”; in tal senso A. MARESCA, Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. Lav. : connessioni e sconnessioni sistemiche, op. cit., 46-47.
([20]) Per F. CARINCI, op. ult. cit., 934, si tratterebbe di una falsa sentenza additiva, che finirebbe per sconfinare nel campo riservato al legislatore.
([21]) Cfr. A. MARESCA, op. ult. cit., 14. E’ da segnalare che presupposti per l’applicazione dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori restano pur sempre, come indicato dal legislatore, l’ “iniziativa dei lavoratori” nonché l’esistenza di “contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”, alla cui trattativa il sindacato, pur non firmatario, abbia preso parte .
([22]) Cfr. sul punto, tra gli altri, P. ICHINO, Rappresentanze sindacali aziendali: la Consulta non risolve il problema, op. cit.; M. MAGNANI, Le rappresentanze sindacali in azienda tra contrattazione collettiva e giustizia costituzionale. Prime osservazioni a partire da Corte costituzionale n. 231/2013, op. cit. ; M. TIRABOSCHI, L’articolo 19 dello Statuto dopo l’intervento della Consulta, op. cit., 12.
([23]) In tal senso A. MARESCA, op. ult. cit., 16 ss. Il nuovo scenario di divisione sindacale porta tuttavia la Corte, secondo l’autore, ad un ripensamento della propria giurisprudenza, operando una sorta di rilegittimazione del dissenso negoziale.
([24]) Cfr. al riguardo G. SANTORO PASSARELLI, La partecipazione alle trattative come criterio di misurazione della rappresentatività sindacale e l’applicazione dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (nota a Corte Cost. 23 luglio 2013, n. 231), op. cit., 1143 ss.
([25]) Per rimediare alla residua incostituzionalità dell’articolo 19, dello Statuto dei lavoratori, nei casi di assenza di disciplina collettiva applicabile. La Corte propone infatti al legislatore, tra le diverse soluzioni, anche l’ “introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento…”, specificando tuttavia che “compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni”.
([26]) Cfr. A. MARESCA, op. ult. cit.., 27, secondo il quale “lo spazio riservato alla trattativa si colloca tra il momento successivo a quello in cui il sindacato (che, di norma, assume l’iniziativa, non essendo frequente che ciò possa provenire da parte dell’impresa) presenta ed illustra una proposta mirata al raggiungimento di un accordo (una volta chiamata piattaforma rivendicativa) e la conclusione di tale accordo che si realizza con la firma dello stesso. Quindi il punto determinante (ma … non sufficiente) per stabilire l’avvenuta partecipazione del sindacato alle trattative è quello in cui l’azienda o l’associazione imprenditoriale accetta di essere parte della trattativa con il sindacato che ha avanzato la proposta, ma anche con altri sindacati che, pur non essendo tra i promotori dell’iniziativa, ne assumono eventualmente la conduzione”.
([27]) Cfr. A. MARESCA, op. ult. cit.., 28 ss.
([28]) “Come insegna anche l’esperienza comparata essa è un prius e non un posterius rispetto all’attività contrattuale (anche se poi i soggetti possono, anzi auspicabilmente dovrebbero, pure coincidere)” ; in tal senso M. MAGNANI, op. cit., 5.
([29]) Sottolinea come con il sistema delineato con il Protocollo d’intesa del 2013 si venga “a registrare una coincidenza del requisito di rappresentatività sindacale che rende uniformi i criteri di accesso per partecipare al rinnovo del contratto collettivo nazionale e per la costituzione della RSA”, A. MARESCA, op. ult. cit. , 39.
([30]) Cr. Sul punto F. CARINCI, Il buio oltre la siepe.., op. cit., 947-948.
([31]) Cr. A. MARESCA, op. ult. cit., 44, il quale pone il problema della permanenza del diritto della Fiom-Cgil ad avvalersi delle RSA , costituite sul presupposto dell’applicazione in azienda di un contratto collettivo oramai estinto, in presenza di un nuovo contratto collettivo per le aziende del gruppo Fiat (del marzo 2013), rispetto al quale la suddetta organizzazione sindacale non ha partecipato neppure alle trattative.
([32]) Specie con riguardo al modello proprio del Protocollo d’intesa, del 31 maggio 2013, ispirato al concorso tra criterio associativo e criterio elettivo e quello costituzionale, che indica quale unico indice di misurazione della rappresentatività il dato associativo; cfr. in tal senso, P. TOSI, Gli assetti contrattuali tra tradizione e innovazione, in ADL, 2013, 506 ss., T. TREU, Le regole delle Relazioni industriali: test per l’autoriforma, op. cit., 10; cfr. per ulteriori riferimenti di dottrina I. SENATORI, op. cit.
([33]) Cfr. sul punto T. TREU, op. cit., 6, secondo il quale la decisione delle parti sociali di sancire per accordo la validità delle regole di maggioranza rappresenta “una scommessa “audace” dei nostri sindacati, coerente con la loro tradizione autonomista”.
([34]) Cfr. in tal senso R. PESSI’, Rappresentanza e rappresentatività sindacale tra contrattazione collettivae giurisprudenza costituzionale, op. cit., 955-956.
([35]) Cfr. G. GIUGNI, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano, 1960.
([36]) Cfr. al riguardo E. GHERA, L’autonomia collettiva e le trasformazioni del diritto sindacale: da Francesco Santoro-Passarelli al pluralismo ordina mentale, in LD, 2009, 363 ss., che richiama in particolare il pensiero di M. D’Antona.