Vivere e trasformare il tempo
Firenze 19 giugno 2019
Incontro Università di Firenze: Don Milani e il mondo del lavoro
Traccia Intervento Francesco Lauria – Centro Studi Cisl Firenze
Perché questo libro
Perché questo libro: L’idea non del libro, ma di approfondire il messaggio di Don Milani rispetto al sindacato e alla Cisl, nasce nel giugno 2017. Dai due momenti che ricordo nel testo:
- la preghiera di Papa Francesco sulla tomba prima di Don Primo Mazzolari e poi su quella di Don Milani
- la settimana successiva con l’incontro con Papa Francesco in occasione del congresso della Cisl.
Scrissi un articoletto su internet sul doppio pellegrinaggio e ricevetti un sms. L’sms raccontava dei primi anni ottanta, quando: “a Barbiana, quasi non saliva più nessuno”. E’ una condizione, quella di quel periodo e di quegli anni che accomuna non solo don Milani e don Mazzolari, ma anche. da vivo, Giuseppe Dossetti e la sua scelta di spostarsi tra “le querce di Montesole” allora dimenticate e piene di rovi..
Di lì è nata la necessità di risalire a Barbiana e l’incontro con la testimonianza e il libro di Michele Gesualdi, “L’esilio di Barbiana”, e, anche a causa della malattia di Michele, con la figlia Sandra.
Tutto il 2018 è stato dedicato a questo a rilanciare e rafforzare il filo teso tra: “Fiesole e Barbiana”, con due mostre presso il Centro Studi: “Barbiana, il silenzio che diventa voce” e: “Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa”, una serie innumerevole di visite guidate e di confronti, tante salite a Barbiana e uno spettacolo sferzante e spiazzante con cui abbiamo terminato il percorso del corso contrattualisti 2018: “Cammelli a Barbiana”.
Si tratta di un filo che non si è mai spezzato, nel corso dei decenn, infatti tantissimi gruppi sindacali hanno percorso il tragitto di circa un’ora che separa la collina di Fiesole da quella di Barbiana.
Non ci serve un Don Milani, così come non ci serve un Carniti in pillole.
In questo percorso fatto di incontri, testimonianze, interrogativi, Non abbiamo costruito un’icona. L’altro rischio è quello di mitizzare una figura, come quella di Don Milani, senza cogliere il profondo nesso, prima a Calenzano, poi a Barbiana, con il suo “popolo”. Due contesti diversissimi, uno industriale, come quello a cavallo tra Prato e Firenze, uno agricolo, montano, direi, disperso, come quello di Barbiana.
Dobbiamo quindi approcciare una figura che si “staglia” come quella di Don Milani e calarla nei contesti sociali (senza dimenticare la sua provenienza familiare e, in particolare, il rapporto con la madre). Una lettera del 1964 al “famigerato” cardinale Florit chiede un segno di riconoscimento che scalfisca il silenzio e l’indifferenza: “Mi è improvvisamene saltato all’occhio che la santità non è semplice come credevo. Lasciarsi calpestare può essere santo, ma nel calpestare me, voi calpestata anche i miei poveri, li allontanate dalla Chiesa e da Dio… Se lei non mi onora oggi con qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato.”
Don Milani è una grandissima personalità, ha tratti peculiari, alcuni estremamente ruvidi, ma non può essere compreso senza inserire nella fotografie i suoi ragazzi. Mi si consenta: non mi si può comprendere Don Milani, senza comprendere Agostino, Maresco, Paolo, Michele, Francuccio, Carla, etc.
La seconda edizione del libro
Questa seconda edizione, che presentiamo oggi, include un testo in memoria, ma allo stesso tempo anche uno scritto di Maresco Ballini, l’allievo che è punto di congiunzione tra Calenzano, Fiesole e Barbiana. Come ci insegnava Pierre Carniti, non siamo qui per celebrare o autocelebrare. E’ questo la miglior via per dimenticare.
Noi vogliamo “ricordare insieme”, con occhi nel mondo.
L’altro grande tema approfondito nella seconda edizione è quello de L’obbedienza non è piu una virtù. C’è qui sia l’approccio storico (la “germinazione fiorentina”, per dirla con La Pira dell’obiezione di coscienza), sia una quello delle esperienze individuali (Franco Bentivogli, Maurizio Locatelli) che quell’dell’attualità (da Don Milani a Konrad, l’elemosiniere “disobbediente” di Papa Francesco).
C’è una frase della Lettera ai giudici che ne precede una celeberrima che credo sia utile ricordare qui: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto… I Care”
Alcune immagini indelebili
La prima immagine è abbastanza famosa. L’abbiamo fumettata per renderla ancora più avvolgente, in un kairòs, un tempo opportuno. E’ Don Milani che avanza con i suoi ragazzi. Uno è tenuto per mano, non a caso è il più piccolo. E’ uno dei contributi nel libro di Emidio Pichelan: il quarto stato di Barbiana. I poveri che avanzano insieme. Emidio ha collegato questa fotografia alle spiagge turistiche di Bodrum. Al piccolo Aylan, tre anni appena.
La differenza tra le due fotografie. E’ che Aylan sulla spiaggia, oltre che esanime è solo.
Siamo noi ad averlo lasciato solo. Se sulla fronte di Don Lorenzo con la fotografia scelta del libro possiamo tracciare senza esitazione I care che cosa possiamo scrivere sulle spiagge di Bodrum, di Lampedusa, di Kos?
Nel cammino di Don Lorenzo e dei ragazzi di Barbiana, nella stretta di mano, scrive Pichelan, a partire dalla scuola, dal lavoro, possiamo davvero scorgere una nuova alleanza?
Passerei poi ad un’altra immagine che ho inserito nel libro: la piscina di Barbiana. Una piscina costruita dai ragazzi (Don Lorenzo, stava già male) con qualche incertezza sulle pendenze, volta a liberarsi collettivamente dalla paura.
Una piccola piscina, per chi non aveva mai visto il mare, aveva paura dell’acqua.
Sta qui, nella liberazione collettiva della paura, la raffigurazione di quanto sia bello il mare, l’oceano a Barbiana.
L’altra immagine che ci voglio proporre è quella dell’Astrolabio.
Abbiamo scelto l’Astrolabio del sociale anche come simbolo del Premio Pierre Carniti. E’ il simbolo dell’intreccio tra studio e lavoro. Dell’imparare facendo e, grazie a questo, del trovare una direzione, meglio la propria direzione e affermazione.
In questo c’’è poi il grande messaggio di Lettera a una professoressa. Del rapporto tra i “Gianni” e i “Pierini”: “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Non dimentichiamo, nel cominciare a riflettere sul rapporto tra l’esperienza di Don Milani e della sua scuola, con il sindacato, il ruolo di Lettera a una professoressa nell’ideazione e implementazione di una scuola diversa per adulti: la grande esperienza delle 150 ore per il diritto allo studio e il progetto, dopo la scuola popolare di Calenzano, di una scuola sociale a Firenze, mai realizzata per la Fondazione Lavoratori Officine Galielo.
Don Milani, il lavoro, il sindacato
“Praticare l’amore, con la politica, il sindacato, la scuola..”, è una frase molto celebre del priore di Barbiana.
Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana.
Una frase che però non è sufficiente per comprendere la ricchezza e la peculiarità, il fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.
Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola.
Il primo testo pubblico a noi conosciuto di Don Milani è del 1949 nella rivista Adesso di Don Primo Mazzolari. L’articolo racconta di Franco, giovane disoccupato di Calenzano. Don Milani si rivolge a lui con una frase fulminante: “Perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti”.
In questa frase si riassume mirabilmente la crisi profonda, l’inadempienza, la miseria del capitalismo, del comunismo e dell’istituzione ecclesiastica, le “ideologie” dominanti del tempo.
Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro Studi di Fiesole, nel libro proprio Agostino Burberi riporta l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra Luigi Macario al Centro Studi per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.
Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra.
Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.
Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.
Se poi ci avviciniamo alla lettera ai giudici, all’obbedienza non è più una virtù penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, il documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza.
Il laboratorio fiorentino: Turoldo, Balducci, La Pira, Benedetto de Cesaris. Un pensiero che coinvolge la Cisl e il suo Centro Studi
Fermento preconciliare: “E’ tempo di costruire: tempo eccezionale della storia della Chiesa. Finisce un’epoca e una nuova sorge” (Giorgio La Pira).
Il ruolo di un’opera come “Esperienze Pastorali”: perché divenne un libro proibito?
Nord e Sud del Mondo: la testimonianza di Francuccio Gesualdi: risolvere i problemi contingenti e gettare le basi per un cambiamento di sistema. I limiti del pianeta, le disuguaglianze. Pensiamo al 1975 a Francuccio in Bangladesh che si accorge di essere nato e vissuto… “dalla parte sbagliata del mondo”.
Balducci parlava di don Milani come un profeta della “teologia della liberazione”, come un anticipatore di quell’opzione preferenziale per i poveri che così importante sarà nella Chiesa del Sud del Mondo negli anni settanta e ottanta.
Un’opzione quella, ad esempio di Boff, che verrà fortemente condannata dalla Chiesa Istituzione esattamente come vent’anni prima era avvenuto con Esperienze Pastorali.
Lettera ai giudici: “La scuola deve essere per quanto può un profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.”
L’obbedienza non è più una virtù.
Ponte di Lucianino. Lo sciopero come “arma non violenta”. Pensiamo alle manifestazione in tutta Europa dei giovani per il clima. Alle nostre contraddizioni di cittadini, lavoratori, consumatori.
Tema dell’esplosione del commercio di armi (anche leggere). Riferimento all’esperienza umana e sindacale di Elio Pagani (Obiettore alla produzione di armi, delegato Cisl che ha pagato con il licenziamento la sua testimonianza). In cosa essere sindacalisti fa scandalo oggi? Tema delicato, ma che va affrontato.
La specificità dell’esperienza lavorativa, sindacale, pastorale nella piana tra Firenze e Prato come prologo al messaggio universale lanciato da Barbiana. Quali spunti per il sindacato oggi? Come costruire o ri-costruire un sindacato pienamente inclusivo a Prato e a Firenze? In particolare nel settore tessile e dell’economia globale dell’interdipendenza? Siamo a trent’anni esatti da Tienanmen, un anniversario che ci interroga anche di fronte al trionfo del capitalismo di stato e alle tensioni geopolitiche globali che comprimono i diritti e la dignità del lavoro.
La parola: ai confini della città del lavoro. Quali sfide per il sindacato e le associazioni laicali, per la scuola, l’Università e la formazione?
Papa Francesco: il suo monito nel porci come sindacato tra profezia e innovazione.
Stare ai confini della città del lavoro e aprire, rappresentare gli ultimi, coloro che sono ai margini, nel mondo dei frammenti. Si vedano gli interventi di Maresco Ballini e Michele Gesualdi al congresso Cisl del 1969 (Potere contro Potere, tema della sussidiarietà e della “fine” della politica).
Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: “Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri , ma li rende schiavi”.
Questo è uno dei punti decisivi per la discussione.
Non è un caso che Pasolini fosse molto affascinato dalla scuola di Barbiana.
Gunther Anders ha definito la società consumistica come: “sirenico-spettacolare”. L’uomo odierno sembra quasi completamente irretito e in questo contesto la presa di conscienza e la radicale presa di responsabilità che ha insegnato Don Milani anche come fine dei processi educativi e formativi appaiono sempre più difficili.
E’ questo irretimento che favorisce etero direzione, controllo, manipolazione politico-mediatica, crescita del conformismo, del populismo e oblio della consapevolezza liberante dalla subalternità.
Oggi?
Costruire un diverso modello di sviluppo.
Come? Stare dentro il sistema e al tempo stesso spingerlo verso soluzioni alternative.
Noi dobbiamo renderci conto che un mondo diverso è possibile e necessario.
Esportare il Metodo della Barbiana del Mugello nelle Barbiane del mondo.
Infine…
Costituzione, Resistenza, nonviolenza. Punti di riferimento nella scuola di Barbiana e in quella di Calenzano.
Stiamo perdendo gli ultimi testimoni. Stiamo scivolando sui valori fondamentali. Per questo non dobbiamo mai fermarci, educare, educare ancora.
Una traccia di lavoro da riscoprire: Pippo Morelli, ma anche su un terreno diverso Tullio De Mauro e Alexander Langer, attraverso una formazione trasformativa.
Una proposta concreta per abitare le periferie:
Reinventare nel tempo di oggi le 150 ore per il diritto allo studio, la scuole popolari, (pensiamo al tema dei migranti e delle nuove tecnologie, ma anche dell’analfabetismo di ritorno e al lavoro come emancipazione per le fasce più fragili e deboli, alla narrazione e al teatro) . E all’impegno del sindacato, attraverso la promozione del lavoro come fatto sociale, relazione ed emancipativo, nelle frontiere più difficili della società come, ad esempio tra i carcerati, gli alcolisti, i soggetti affetti da dipendenze in generale. Su questo ci aiuta, fra le altre, la testimonianza viva di Maresco Ballini, a partire dal suo intervento al congresso nazionale della Cisl del 1969.
Cosa ci aspetta domani? Scriveva Balducci nel 1987 (Ci aspetta domani). Se noi ricostruiamo la realtà storica di Milani, anche nella sua lontananza, tenendo conto della diversità della situazione e poi la interroghiamo, scopriamo che Don Milani è uno di quei maestri che non ci richiamano al ricordo del passato, ma che ci hanno dato appuntamento nel futuro.
Soltanto una società e, io aggiungo, un sindacato fondati sulla partecipazione cosciente e responsabile, possono contrastare la globalizzazione neoliberista e rifondare la politica e la rappresentanza, ricollegare etica, politica e diritto, ridare pienezza ad una democrazia spesso ormai solo formale.
Forse, ancora di più, senza rinunciare ad un profilo di senso, dobbiamo ripartire dalla società dei frammenti, come ci insegna Ivo Lizzola. Ripartire dal cooperare e da una comunità inclusiva, da luoghi apparentemente deboli e periferici come le montagne spopolate (le Barbiana di oggi) nella megalopoli interconessa e supersonica globale.
In tutto questo Don Milani e i suoi allievi ci hanno lasciato un percorso peculiare che incontra il valore del sindacato come strumento comune della giustizia, come luogo educativo, trasformativo, esperienziale di una società più giusta. A partire dagli ultimi, anche nel lavoro. A partire da quella dimensione planetaria che ha a cupre l’umanità e la terra.
Trasformare il tempo
Il lavoro come cura, il sindacato come tessuto di uguaglianza pur in un tempo difficile. Gli indios dell’Ecuador chiamo il tempo presente: Yakipachi, cioè il tempo della corruzione e della tristezza, il tempo dell’egoismo neoliberale che distrugge il pianeta e calpesta la persona.
In realtà, come diceva Martin Luther King, il tempo, ogni tempo, in se stesso è neutrale. Spetta a noi fare del tempo in cui viviamo un tempo di grazia o un tempo di disgrazia. Gli uomini, il messaggio di Barbiana ci consegna proprio questo: “sono chiamati a trasformare il tempo”.
Non è vero che il tempo che stiamo vivendo è la fine o il fine della storia.
Non è vero che è inutile continuare a camminare e a cercare. Alberto Degan, padre comboniano, attivo nelle comunità afro, le più emarginate nel paese latinoamericano, racconta di come i poveri sono spesso “maestri nel trasformare il tempo”, in un’opportunità per consolidare lo spirito comunitario.
Le Barbiane del mondo, le periferie geografiche, esistenziali e del lavoro, senza idealizzazioni astratte, possono aiutarci a capire come trasformare il tempo dell’egoismo nel tempo della comunione, il tempo della tristezza, nel tempo della festa.
Trasformare quindi il Yakipachui nel Pachakutik, nel lingua india dell’Ecuador.
Negli anni dell’esperienza di Don Milani a Barbiana Adlai Stevenson, politico nordamericano, candidato più volte alla presidenza del partito democratico negli anni ’50, affermò: “Non sogniamo un mondo senza conflitti e senza contese, ma sogniamo un mondo senza guerra e questo implica la ricerca di una via alternativa per risolvere i conflitti”. Era il 1961, era il tempo dell’equilibrio del terrore.
Un anno prima di morire, parlando a un gruppo di giovani Stevenson disse: “Ogni epoca ha bisogno di uomini pronti a redimere il tempo, uomini che con la loro vita ci offrano una visione del mondo di come dovrebbe essere”.
La fantasia, la forza di resistenza, la creatività solidale dei poveri delle Barbiane del mondo ci danno il senso della possibilità, ma anche dell’urgenza di trasformare il nostro tempo.
Ritorniamo agli interventi congressuali di Michele Gesualdi e Maresco Ballini del 1969.
Torniamo al sindacato come strumento e comunità di profezia e innovazione. Luogo di futuro se riusciamo ad essere presenti al nostro tempo, senza bestemmiarlo, ma vivendolo pienamente e generosamente. Come ci ha ben insegnato, dall’esilio di Barbiana, Don Lorenzo Milani.