Articolo per il numero 8 di “Sindacalismo”
1.
Dal XVI Congresso della Cisl viene una forte riconferma che il sindacato deve stare in campo per reggere una sfida che non sarà di breve periodo.
Da tempo avevamo ben presente la necessità per i lavoratori, ma anche per il sistema Paese, di poter contare su un sindacato che fosse in grado di misurarsi con i cambiamenti della società, dell’economia e del lavoro in modo propositivo e responsabile.
Ma oggi, a fronte dello “tsunami” che ha investito nell’ultimo anno la finanza internazionale e che sta determinando effetti dirompenti sull’economia reale e sul lavoro nonostante le quotidiane rassicurazioni governative, dovrebbe essere avvertita da tutti l’indispensabilità di un sindacato che, invece di cullarsi in inconcludenti richiami alla piazza, operasse per un’azione comune e concertata tra forze sociali, istituzioni e imprese per arginare gli effetti più devastanti della crisi e per rimettere in moto investimenti, crescita e occupazione.
Purtroppo vediamo che la Cgil, stretta tra le dinamiche in atto nel Partito Democratico e gli schieramenti congressuali interni, di fatto continua a privilegiare scelte di rappresentanza politica e antagonista piuttosto che di contenuto sindacale, con la persistente fuga da ogni tavolo concertativo e contrattuale e da ogni firma impegnativa.
D’altronde era forse inevitabile che nonostante lo sforzo meritorio compiuto dalla Cisl in tutti questi mesi per tenere aperto un qualche canale di azione unitaria, si arrivasse ad un punto in cui la diversità dei modelli sindacali prendesse il sopravvento e fosse più forte di ogni ragionevole sforzo di composizione tra le organizzazioni.
In gioco, come sappiamo, ma come forse non è così trasparente nel dibattito e sui mass media in altre faccende affaccendati, c’è qualcosa di più delle contingenze dettate dall’agenda della quotidianità: c’è il prevalere o meno nel Paese, certo oggi, ma anche per gli anni futuri, di un modello sindacale autonomo, ma anche autorevole perché rappresentativo e responsabile, centrato su obiettivi di merito e non di schieramento, rispetto ad un altro modello che impropriamente si dice sindacale, ma che è invece tutto politico e francamente conservativo.
Un esempio significativo di quanto sostengo ci viene dato dalle posizioni nel più recente dibattito che si è aperto sulla proposta della “partecipazione ai risultati d’impresa”, idea da sempre sostenuta e fortemente voluta dalla Cisl nel quadro di un ragionamento più complessivo sulla partecipazione dei lavoratori e sulla democrazia economica, ma che come è noto è fortemente avversata dallo schieramento “conservativo” , anche nella versione più soft proposta dal Governo.
2.
Questo contesto e questo scenario devono essere tenuti ben presenti per una riflessione sull’impostazione della politica formativa che la Cisl intende sviluppare.
Una riflessione che per fortuna si è avviata per tempo subito dopo il Congresso, che vede la Confederazione impegnata in un rilancio della formazione dei quadri e dei militanti a tutto campo, in un rapporto virtuoso con le federazioni di categoria e i territori.
Ce n’era bisogno perché nei 60 anni di esperienza sindacale della Cisl la formazione per i quadri e i dirigenti, integrata con le attività di studio e di ricerca, ha storicamente rappresentato non un’attività residuale del proprio agire, ma una componente fondamentale e strategica perché si affermasse tra i lavoratori e nel Paese il modello del “sindacato nuovo”.
Ma oggi questa “mission” della formazione sindacale, intesa appunto nel suo senso più ampio di approfondimento culturale e di ricerca, è tanto più attuale ed urgente perché il sindacato è chiamato a confrontarsi e a dare risposte alle nuove problematiche legate alla trasformazione del lavoro e del welfare, alle sfide per qualificare e decentrare la contrattazione, per sperimentare percorsi di partecipazione associativa e di democrazia economica, per realizzare una nuova e più diffusa rappresentanza, per coniugare nuove tutele con nuove responsabilità.
L’incertezza e l’indeterminatezza dei tempi che stiamo vivendo, la crisi in atto che, come ricordato, non è solo finanziaria e dell’economia reale ma anche di etica e di governance, ci costringeranno sempre più a misurarci con la connotazione del cambiamento, con gli scenari della globalizzazione ma anche con le tentazioni di un nuovo protezionismo.
E’ vero, per fortuna, che il cambiamento è sempre esistito e che ci ha consentito nei vari periodi storici una evidente evoluzione nei rapporti sociali e nelle condizioni di vita e di lavoro a cui l’azione del sindacato ha contribuito non poco.
Ma quello che oggi ci chiama più in causa è la “velocità” dei processi in corso, una velocità che obbliga anche il sindacato a usare parametri di riferimento più flessibili e più interpretativi.
Un altro esempio: si può essere più o meno polemici con gli economisti per non aver previsto in tempo questa crisi finanziaria, ma chi tra i politici, i sociologi o i filosofi aveva preavvertito per tempo il disastro mondiale a cui si stava andando incontro… ?
Se attorno a noi tutto è cambiamento, allora dobbiamo sperimentare strategie che da un lato non ci facciano accettare acriticamente ogni mutamento in corso, ma dall’altro non ci rinchiudano in un rifiuto ideologico dello stesso.
Il dibattito in corso sulla crisi registra opinioni diversissime sui tempi, le modalità e gli interventi per uscire dalla stessa, ma registra a ben vedere una sorprendente unanimità sul fatto che bisogna ripensare i modelli, che non si può ripartire da dove eravamo rimasti, che occorre al contrario innovare fortemente regole, comportamenti e interrogarsi su una nuova qualità dello sviluppo.
E’ dentro questo orizzonte di ricerca di nuovi equilibri e di nuove sintesi che i valori di fondo della Cisl, centrati sulla valorizzazione della persona e sulla sua piena realizzazione nel lavoro e nella società, assumendo i contorni di una più definita responsabilità, possono rappresentare importanti paletti di riferimento per “osare il nuovo”.
3.
Sarebbe ingeneroso e non corrispondente al vero se non cogliessimo lo sforzo che in varie parti dell’organizzazione sicuramente in questi anni è stato fatto per consentire ai nostri delegati sui posti di lavoro e al nostro gruppo dirigente intermedio di accedere a momenti comuni di riflessione, di studio e di formazione. Dall’osservatorio del Centro Studi di Firenze abbiamo potuto apprezzare e supportare iniziative formative avviate con convinzione e con partecipazione da Federazioni di Categoria, Territori, dal nostro sistema degli Enti e dei Servizi.
Se c’è un’osservazione da muovere sta nella difficoltà ad inserire la formazione sindacale in un’idea di “sistema” e nel non sempre evidente rapporto tra le politiche Cisl, l’investimento formativo e la politica dei quadri.
Ma quanto fatto fino ad oggi non basta più; del resto Raffaele Bonanni sottolinea spesso che non viviamo e non si prospettano per il sindacalismo confederale tempi normali e di ordinaria amministrazione.
Da un lato c’è la crisi dell’economia reale che sta sempre più scompaginando come ricordato il tessuto produttivo del nostro Paese e invertendo pesantemente il trend dell’occupazione.
Ma dall’altro c’è la bella novità dell’accordo quadro sui nuovi assetti contrattuali, obiettivo da tanti anni seguito dalla Cisl e finalmente raggiunto anche se al prezzo di una divaricazione nel panorama sindacale.
All’opposto di quanto sembra sostenere la Cgil, tra l’intesa quadro sul sistema contrattuale e il governo degli effetti della crisi c’è un legame strettissimo, in quanto spostando la contrattazione ai livelli decentrati di posto di lavoro e di territori, ma soprattutto legando le dinamiche salariali ai risultati di produttività e alla detassazione dei premi integrativi, si riporta lo strumento della contrattazione alla sua funzione originaria che, per noi della Cisl è sempre stata quella sicuramente di difendere il salario di chi lavora, ma contemporaneamente di spingere allo sviluppo, alla innovazione, ad una trasformazione competitiva del nostro sistema produttivo e dei consumi.
Si apre allora una stagione di grande e nuovo protagonismo per l’azione sindacale della Cisl, di cui forse sentivamo tutti un gran bisogno perché troppo stretti in una gestione dell’ordinario e della quotidianità.
L’intesa quadro, al contrario, è davvero uno spartiacque dal quale è impossibile tornare indietro, ma che invece deve essere solo gestita con coraggio per cogliere gli effetti positivi che già oggi è in grado di dare, come si evince dal tentativo di rimettere già in discussione l’indice IPCA perché ritenuto “troppo oneroso”.
La sfida passa ora, dunque, sul terreno della gestione dell’intesa, una gestione che è nelle mani dei protagonisti e per quanto ci riguarda delle categorie e dei territori.
Conoscere i contenuti dell’intesa quadro, valutarne le potenzialità possibili, attrezzarsi per incardinarla nelle specificità settoriali e categoriali, respingere le possibili alternative demagogiche di Cgil, non sono solo materie da consegnare alla valutazione pur necessaria degli organismi statutari.
Occorre anche operare più nel profondo, dando alle nostre RSU e ai nostri dirigenti contrattualisti la possibilità di studiare a fondo le specificità aziendali, di filiera, di distretto, occorre ripensare piattaforme contrattuali meno tradizionali e meno conservative dove termini come produttività, bilateralità, welfare aziendale, partecipazione siano in grado di trasformarsi in risultati concreti sia salariali che di nuova occupazione per i lavoratori rappresentati.
Non a caso l’intesa quadro ha messo anche un paletto sulla rappresentanza dove si richiama la possibilità mai scontata in Cisl di andare ad una certificazione degli iscritti e quindi della rappresentanza.
4.
Una prospettiva così impegnativa, tale da prefigurare, come sto sostenendo, un impegno rinnovato e non di breve periodo, deve fondarsi chiaramente su una forte e visibile alimentazione nel senso della proposta, della progettualità, dando centralità alla ricerca, allo studio e alla formazione.
Una formazione sindacale che può connotarsi anche come sfida educativa, per rimettere al centro del lavoro formativo quei valori umani e civili che oggi sembrano sotto traccia, ma che invece incontriamo nel quotidiano soprattutto quando ci sforziamo di intercettare nuovi soggetti, nuove persone, nuove realtà.
Sono convinto che per certi versi si riproponga oggi a noi il tema che portò 60 anni fa Giulio Pastore e Mario Romani ad affermare che il “sindacato nuovo” non avrebbe mai potuto realizzarsi se non investendo massicciamente nella formazione dei quadri sindacali e nell’aggiornamento continuo del gruppo dirigente, dalla prima linea ai vari livelli dell’organizzazione.
Dall’osservatorio di chi in questi anni si è sforzato di intercettare la domanda formativa dei nostri operatori, dirigenti, e anche RSU, e il Centro Studi di Firenze è certamente stato un avamposto privilegiato, emerge d’altronde una grande disponibilità e una voglia a spendersi sul modello sindacale che la Cisl sta coraggiosamente cercando di interpretare.
Ma emergono anche bisogni di approfondimento continuo, di ulteriore ricerca, di alimentazione formativa per comprendere al meglio gli scenari nuovi e di che cosa effettivamente stiamo parlando quando diciamo che bisogna cambiare.
Se la sfida che dobbiamo reggere è straordinaria, allora è importante riflettere non solo sulla necessità di ridare centralità alla politica formativa che è uno sforzo in atto, ma anche su come far compiere alla stessa un “salto di qualità” (alta formazione) in grado di rispondere appunto, da un lato, alle domande formative che ci provengono dai nostri quadri e, dall’altro, ai temi nuovi e di frontiera che qualificano la proposta della Cisl.
5.
Indico quindi di seguito qualche possibile direzione per una formazione sindacale rinnovata, così come del resto in Cisl si sta affermando nella riflessione interna:
- Formazione per una nuova cultura del confronto, del dialogo sociale, della concertazione; senza negare il conflitto è necessario formare alla condivisione e alla messa in rete delle competenze, delle risorse, delle professionalità.
- Formazione per sostenere le nuove dimensioni dell’economia; se il liberismo e il collettivismo hanno per fortuna definitivamente fallito allora occorre interrogarsi su quale economia sociale, quale capitalismo associativo, quale democrazia economica.
- Formazione per interpretare il cambiamento dei mercati produttivi; cambia la demografia, si sviluppano nuove tecnologie, nuove produzioni eco compatibili, cambiano i consumi …
- Formazione per il riconoscimento delle diversità culturali, etniche, religiose e per una cultura dell’integrazione nel rispetto dei diritti condivisi.
- Formazione per un rinnovato sistema di relazioni industriali nel privato e nel pubblico; occorre definire un nuovo rapporto tra la nuova dimensione contrattuale, la bilateralità e i contenuti della partecipazione e della sicurezza sul lavoro.
- Formazione per un welfare rinnovato; la sussidiarietà e la territorialità come dimensione per uno stato sociale più equo e dignitoso per ogni persona, per politiche di contrasto alla povertà, per un fisco diverso…
La direzione in cui ci si muove è quella di costruire occasioni di confronto, di sollecitazione e di indirizzo che aiuti l’insieme delle strutture della Cisl a praticare nei fatti una nuova stagione formativa, ma credo che tutto questo possa realizzarsi se si condivide l’idea di un Patto formativo, in grado di far crescere nella pratica i valori della confederalità e della sussidiarietà.
Ho in mente allora un Patto formativo che per un comune operare nell’organizzazione dovrebbe fondarsi almeno su quattro consapevolezze:
- La formazione è il luogo dove le scelte della Cisl definite nei congressi e negli organismi vengono veicolate, approfondite, diventano cioè patrimonio condiviso dell’insieme dell’organizzazione, dei suoi quadri, del suo gruppo dirigente;
- La formazione è il luogo in cui la strategia della Cisl viene esaltata nell’impatto concreto con i fenomeni sociali, economici e produttivi in atto, con attenzione alla dimensione europea e internazionale;
- La formazione è il luogo dove si dà gambe all’azione della Cisl, ma la si arricchisce anche di contenuti, proposte, esperienze, frutto appunto di quel circuito virtuoso che si crea tra il vissuto dei partecipanti, le scelte dell’organizzazione e le trasformazioni in atto;
- La formazione è il luogo dove si alimenta una politica dei quadri legata a nuovi soggetti di rappresentanza (giovani, donne, professioni, multietnicità…) ma anche finalizzata ad assicurare i ricambi dei gruppi dirigenti nel segno dell’autonomia e della professionalità, coniugando valori e mestiere.
Per questo mi sento di ritornare a sostenere come di grande attualità l’obiettivo di fondo per il “sistema formativo” Cisl e cioè far in modo che chiunque assume responsabilità di qualche rilievo nell’organizzazione, specie se a tempo pieno, abbia assicurato sempre un serio e certificato percorso di formazione e di studio. Un percorso che l’insieme del sistema formativo, articolato e sussidiario, è chiamato complessivamente ad offrire e assicurare almeno al proprio gruppo dirigente.
6.
“Fare mutualità all’interno” è una bella affermazione che si trovava nel documento proposto dalla Segreteria Confederale per il dibattito congressuale della Cisl.
Se condivisa, la possiamo allora ben coniugare anche con l’idea di un sistema della formazione sindacale costruito sul concetto della rete e della integrazione e sulla consapevolezza della sempre maggiore interazione tra gli obiettivi formativi, la ricerca e lo studio.
Mi piace allora pensare che questa rete della formazione possa articolarsi in Cisl con il lavoro operoso e coordinato di più soggetti:
– la Confederazione, le Usr, le Ust, le Categorie e gli Enti ciascuno con autonomia di iniziative, ma non in autarchia su obiettivi e contenuti;
– le potenzialità del Centro Studi di Firenze, del Dipartimento Confederale Formazione, dei Centri Culturali riuniti nella Fondazione Tarantelli, della Fondazione Pastore, utilizzate in un circolo virtuoso unitario in grado di sorreggere le scelte strategiche della Cisl;
– un rinnovato rapporto tra Formazione Cisl e Università in grado di intensificare tra le due realtà quello scambio, proficuo per entrambe, tra le urgenze del sociale e i contenuti del sapere scientifico, così come era ben chiaro a chi alle origini doveva affermare il “sindacato nuovo”.
Anche così la formazione sindacale può ritornare ad essere una vera opportunità e uno strumento strategico per consentire ai quadri e ai dirigenti della Cisl di gestire, si diceva una volta di guidare, con consapevolezza e con professionalità adeguata la nuova fase di protagonismo contrattuale e sociale.
Mario Scotti