Mario Grandi e la CISL

da | Apr 5, 2011 | Saggi e Articoli

Contributo in ricordo della figura e dell’opera del prof. Grandi

Mario Grandi in uno scritto del 2005, ricordando la figura e l’opera del suo maestro e collega prof. Mario Romani, scriveva: “…non ha mai appartenuto a quella specie di intellettuali che separano le idee dalla realtà o che alla realtà sovrappongono schemi mentali precostituiti”. (1)

A me pare che questo richiamo ad una libertà di pensiero e di elaborazione che si misura nel concreto delle dinamiche economiche e sociali potrebbe essere il modo migliore per capire quale sia stato l’apporto di Grandi in una vita spesa nello studio del diritto sindacale e del diritto del lavoro.

Una definizione, quella su Romani, che in realtà definiva anche la propria coerenza metodologica  e l’affinità di pensiero tra il maestro prematuramente scomparso e l’allievo.

Di questo tributo a quanti avevano contribuito alla sua formazione professionale e sociale, ad avvicinarlo agli studi di diritto del lavoro e all’esperienza nuova della CISL, Mario Grandi non faceva mistero, anzi vi faceva volentieri riferimento con dovizia di particolari , ma non per una sorta di compiacimento quanto per far capire bene all’interlocutore quali fossero le radici del suo formarsi e per  evidenziare con qualche rimpianto una stagione di  vera innovazione  nelle concezioni del sindacato quale fu  quella che Grandi trascorse lavorando all’Ufficio Studi della CISL (1955-68) e insegnando fino al 1970 al Centro Studi CISL di Firenze .

Nato da famiglia contadina, di “piccoli agricoltori” , del Modenese, per una provvidenziale intercessione del sacerdote che assisteva la Gioventù Cattolica  presso Padre Gemelli, si laurea a pieni voti in Giurisprudenza  all’Università Cattolica. E fu appunto nel 1955 che Nino Andreatta segnalò il fresco e promettente laureato al prof. Romani  per un incarico all’Ufficio Studi CISL di Roma  per ,ricorda Grandi, “occuparmi dell’attività parlamentare e legislativa riguardante i problemi sindacali e del lavoro”  e “curare anche i rapporti con il gruppo dei parlamentari sindacalisti della CISL”.(2)

Poiché Mario Romani, stretto collaboratore di Giulio Pastore nella elaborazione della concezione sindacale della Cisl quale “sindacato nuovo”, aveva in quegli anni anche la responsabilità della atti vità formativa per i nuovi quadri sindacali presso il Centro Studi di Firenze, era naturale che Grandi venisse arruolato tra i docenti  come insegnante di diritto del lavoro , “anche se allora non avevo nessuna specifica qualifica”, affiancando e poi sostituendo nell’ incarico un altrettanto giovane prof. Gino Giugni. (3)

Gli anni 60 erano gli anni in cui l’elaborazione teorica della CISL per una nuova politica contrattuale, spostata in azienda in modo da collegare salario e produttività del lavoro per governare in modo più efficace la redistribuzione del reddito, si faceva concreta nell’attività rivendicativa e negli accordi  sindacali e naturalmente costituiva il perno su cui muoveva tutta l’attività di formazione rivolta ai sindacalisti che dovevano essere non solo “motivati” ma anche “professionalmente preparati” a gestire la nuova azione contrattuale.

Così Mario Grandi, previo incontri preparatori riservati agli “istruttori” tenuti tra gli altri da  Saba Zaninelli, Baglioni, Frey e naturalmente Romani, insegna presso il Centro Studi non gli elementi per un accademico diritto del lavoro, ma più concretamente “compiti del sindacato in ordine all’attività di contrattazione”, “le nuove esigenze di tutela dei lavoratori…rispetto al mercato del lavoro”, “aspetti tecnico-organizzativi di attuazione della politica salariale della Cisl”, “teoria e politica della contrattazione collettiva generale ed integrativa aziendale”, per citare soltanto alcuni degli argomenti  affidati a Grandi . (4)

Ho volutamente, anche se brevemente , insistito nella ricostruzione del rapporto  tra  Grandi e la Cisl e il sindacato in generale  attraverso gli anni di collaborazione diretta con Ufficio Studi e Centro Studi, perché è lì che si formano le convinzioni di fondo che guideranno poi tutti i contributi che sia in sede accademica che scientifica  che divulgativa verranno prodotti sui temi della libertà sindacale, del primato della contrattazione sulla legge, della concezione associativa del sindacato, della rappresentanza e della rappresentatività, dell’autonomia nella responsabilità  dell’azione sindacale.

E’ lo stesso Grandi a riconoscerlo in una delle sue ultime interlocuzioni.

“La direzione di Romani era un controllo di serietà sul nostro lavoro….io venivo dall’Università e non avevo esperienza di lavoro e devo dire che ho imparato molto da questa attività.

…secondo l’idea di Romani allo studio e alla ricerca doveva sempre essere accompagnata la formazione, quindi i sindacalisti dovevano accostarsi a buone fonti di conoscenza ma occorreva sempre lo strumento formativo…”

E ancora “… per me è stata un’importante esperienza anche didattica e quando mi sono presentato alla libera docenza l’ho portata come attività svolta in una sede quasi universitaria o parauniversitaria”.

La lunga attività di docenza all’Università di Bologna non rinchiude Grandi nella dimensione accademica , anche se per tanti di noi più giovani egli sarà principalmente “il professore”.

Attento e, quando lo riteneva necessario, positivamente critico verso le “mode” sindacali del momento, Grandi non ha mai cessato fino all’ultimo di dire la sua sui pericoli ma anche sulle opportunità  che si profilavano per il sindacalismo libero e democratico.

Ha continuato a farlo con una collaborazione più organica con la Fisba Cisl, con la partecipazione alla Fondazione Pastore e con gli articoli inviati a Conquiste del Lavoro, ma soprattutto con la sua personale disponibilità a parlare e scrivere sul sindacato ogni qualvolta qualcuno glielo chiedesse.

 Non mi risulta che Mario Grandi, a differenza di altri colleghi   accademici, abbia scritto manuali o trattati completi di diritto del lavoro.

La sua attività scientifica consiste principalmente nei numerosi saggi, articoli, contributi a seminari e convegni ed è quindi attraverso di essi che si può tentare un qualche approccio con il suo pensiero, le sue convinzioni, il suo insegnamento, soprattutto con quanto si mantiene vivo ed utile per l’attualità.

In uno dei suoi scritti più recenti, dal titolo volutamente provocatorio “Ci sono ancora i soci nel sindacato?” Grandi ripropone quello che è l’elemento dominante del suo intendere l’esperienza sindacale e cioè di essere libera associazione di lavoratori, regolata esclusivamente dal diritto comune, autonoma da interferenze esterne o da gabbie legislative .(5)

Dato atto che “nella tradizione italiana la Cisl ha particolarmente e significativamente rivalutato il modello associativo di organizzazione, ponendo al centro della sua visione del sindacato la persona del lavoratore, come risulta dal suo atto fondativo”, Grandi lamenta che tuttavia “il sindacato italiano non ha grande considerazione per i propri soci, al di là degli omaggi di rito resi all’associazionismo come filosofia costitutiva del sindacato”. E precisa : “Di per se l’affiliazione, come fatto soggettivo di appartenenza ad un organismo sindacale, rischia di avere una rilevanza solo statistica o di misura solo quantitativa, se non assume, nella pratica organizzativa, il significato attivo di titolo di partecipazione piena e continuativa alla vita interna dell’organizzazione cui è affiliato”

Mi si perdonerà la lunga citazione, ma credo che in queste frasi ci sia l’insegnamento più autentico e la sintesi più esplicita della sua visione sindacale. L’associazione è composta da “soci”, che stanno insieme perché volontariamente condividono valori, obiettivi e contenuti (il patto associativo); il socio è qualcosa di più del semplice iscritto, tra il socio e l’organizzazione sindacale si crea un rapporto speciale fatto di diritti (fondamentali quelli di rappresentanza e di partecipazione)

ma anche di doveri e di consapevoli responsabilità.

Grandi interviene con forza sul tema che gli sta a cuore, ovviamente le sorti del sindacalismo libero e democratico, ben differente come modello e come prospettiva da quello “corporativo” o da quello “di classe”. Infatti “Un associazionismo attivamente e assiduamente praticato avrebbe potuto davvero trasformare il sindacato in “scuola di civiltà”, secondo l’indicazione suggestiva del prof.M. Romani; in una palestra di formazione civile e culturale dei soci, secondo una corretta visione personalistica del fatto sindacale “.

Si capisce allora perché il contributo di Grandi sul tema della rappresentanza e della rappresentatività sia  persistente in molti suoi scritti, ma anche molto netto.

Non è interessato più di tanto alla rappresentatività, che liquida come aspetto puramente quantitativo, quanto a come si legittima la rappresentanza non in astratto, ma nel vivo della vita aziendale e del processo negoziale.

La questione è evidentemente di grande importanza soprattutto nell’ambito di una strategia sindacale che punta sempre più alla contrattazione decentrata in azienda , in continuità e come sviluppo della proposta originaria  della Cisl per l’adozione di una nuova prassi contrattuale “in funzione della sopportabilità reale dei settori e delle aziende, sopportabilità determinata dal loro grado di efficienza produttiva”.

“Non si trattava” scrive Grandi in uno scritto in memoria di Gino Giugni “soltanto di un problema di revisione tecnica del sistema contrattuale, poiché tale revisione era lo strumento e la conseguenza operativa  di criteri di politica salariale correlati all’efficienza produttiva e all’apporto del fattore lavoro , all’incremento differenziato di tale efficienza” (6).

Non convincono Grandi, anzi lo preoccupano , le ipotesi tese a svalutare il principio associazionistico nel campo delle attività di rappresentanza negoziale per assumere sia nel privato che nel pubblico il carattere di “una rappresentanza unitaria non associativa a base elettorale”.

Ci sarebbe a suo giudizio una qualche inacettabile omologazione tra l’esperienza sindacale e quella della politica partitica.

Il primato del vincolo associativo nell’espressione della rappresentanza potrebbe però, riconosce Grandi, trovare una sua mediazione con la legittimazione elettorale nei casi di protocolli di politica sociale tra sindacati e governi  perché allora “è tutta la strategia della concertazione che presuppone un forte e  diffuso consenso politico dei lavoratori, non limitabile solo a quello dei lavoratori organizzati “.

Ma Grandi era soprattutto un esperto di diritto del  lavoro e di diritto sindacale per cui è su questo terreno che va ricordato, valorizzato e spero più ampiamente studiato il suo contributo a sostegno delle novità introdotte dalla Cisl  sul terreno del pluralismo giuridico nella ricostruzione dell’ordinamento sindacale e della prevalenza della via contrattuale rispetto a quella legislativa in tema di lavoro.

Una delle sedi dove è più compiutamente esposto il suo pensiero in materia è forse il già citato saggio scritto in onore di Giugni.

Nell’elaborato Grandi riassume in poche ma esaustive righe  le caratteristiche fondative del “sindacato nuovo” (7) che anche  sul terreno giuridico rappresentava una rottura rispetto agli schemi  del tempo  in quanto la  Cisl “non chiedeva  all’ordinamento giuridico statuale né riconoscimenti speciali né privilegi “. Che fosse questa dell’autonomia dell’ordinamento sindacale  se non una rottura certamente una novità per il nostro paese  lo dimostrerebbe il fatto che “ l’ipotesi pluralista , familiare in altre culture giussindacali, non aveva da noi in quegli anni nel diritto del lavoro un livello di elaborazione e di accoglimento che la ponessero in grado , con sufficiente attendibilità, di  essere sperimentata per la ricostruzione dell’ordinamento sindacale come sistema normativo extrastatuale.” (8)

Ricordava infatti Grandi come da un lato la linea corporativa istituzionale avesse una “visione del fenomeno sindacale come esperienza non ordinamentale interna all’ordinamento generale sovrano”, mentre la linea “costituzionalista” era più “protesa a valorizzare una strategia di protezionismo statualistico invocante l’attuazione delle garanzie costituzionali (anche nel campo del

Diritto collettivo) per il tramite della tutela giudiziaria “.

La Cisl puntava  sul pluralismo dei gruppi economico-sociali come nuova dimensione di un ordinamento democratico, in grado di agire in regime di libertà e di riconoscimento  delle realtà sociali intermedie evitando di rapportarsi con le stesse soltanto in termini legalistici di regolazione o di contenimento.

Da questa concezione deriva il rifiuto storicamente accertato della Cisl  per gli art.39 e 40 della Costituzione, mentre Grandi fa esplicito affidamento sugli art. 36 e 46; da qui la iniziale diffidenza verso lo stesso Statuto dei lavoratori ; da qui in generale il rifiuto della Cisl  di ogni intervento legislativo , anche di sostegno, che  espropriasse le rappresentanze sindacali  in materia di lavoro.

Ma Grandi rifuggiva da una rappresentazione della Cisl in chiave anti-legislativa o pan sindacalista.

Riconosceva  alla tutela dei lavoratori, in primis degli iscritti, una complessità che doveva fondarsi sempre sull’esame della realtà e delle condizioni in atto .

Per questo, valga come esempio, sostenne e studiò la possibilità di un intervento legislativo diretto a stabilire la generalizzazione dei minimi di trattamento salariale e normativo fissati nei contratti.

Dopo aver detto della crisi in atto sul sistema centralizzato di contrattazione collettiva a favore di un sempre più ampio processo di contrattazione aziendale , (con accenti che scritti nel 1962 sono immediatamente trasferibili nella realtà di oggi….) (9), Grandi scrive : “Le considerazioni svolte confermano a mio avviso l’opportunità di assicurare a tutti i lavoratori un minimo di condizioni , ricorrendo ad un sistema diverso da quello di trasferire in un atto normativo il contenuto materiale del contratto collettivo , allo scopo di dare ad esso efficacia erga omnes. Tale sistema può essere validamente rappresentato da una legislazione sui minimi, che si ispiri all’art. 36 della Costituzione”. E più avanti : “…Per le ragioni dette in precedenza, non dovrebbe escludersi a priori che il legislatore possa stabilire, accanto ad un minimo di trattamento retributivo, anche alcuni fondamentali trattamenti normativi”

Risolvendo così, par di capire, con riferimento agli art. 2 e 36 la questione dei diritti indisponibili da quelli considerati  come tutele negoziabili oggetto di accordo tra le parti …

La libertà sindacale, specificata come libertà di pensiero, di parola e di comportamento, è la cosa che a  Grandi sta più a cuore. E mentre questa libertà era minacciata  negli anni della ricostruzione da  concezioni  troppo statuali o da  comportamenti ottocenteschi del mondo padronale, più recentemente lo inquietano invece i comportamenti  aggressivi e anche violenti  di cui sono fatti oggetto i sindacati riformisti ed in particolare la Cisl, le sue idee , le sue sedi e i suoi dirigenti da parte di componenti sindacali estremiste o dissenzienti o concorrenti.

Si tratta di un problema nuovo, dice Grandi, che difficilmente può essere ricondotto nell’ambito della condotta antisindacale  sanzionata dallo Statuto dei lavoratori, che  la imputa esclusivamente  al soggetto datore del lavoro,e che potrà eventualmente prevedere un ricorso al  giudice solo  qualora si ravvisassero  responsabilità penali per gli atti  compiuti.

Ma poiché  “la libertà sindacale …ha una portata generale , essa deve essere difesa  contro chiunque la attenti…”,  ecco allora ritornare anche su questo aspetto delicato e di stringente attualità  l’indicazione per una via  pattizia tra i sindacati piuttosto  che giudiziaria. “Più consistente potrebbe essere un accordo intersindacale, in cui fossero previste le fattispecie di mancato rispetto della libertà e dell’attività sindacale  tra sindacati e loro rappresentanti o affiliati, l’impegno a non ricorrere ad azioni di disturbo, di minaccia e   di violenza , un sistema di sanzioni (da affidare eventualmente ad un soggetto neutrale indipendente)”.(10)

Mario Grandi ha rappresentato indubbiamente  nel mondo accademico e scientifico  di questi 50 anni di storia del nostro paese un esempio forse unico di rigore morale , di coerenza e di  umiltà.

Un esempio da additare e da consegnare ai giovani  che  vogliono cimentarsi  con la  “mission” ostica della formazione e dell’impegno sociale.

Per tanti sindacalisti della Cisl, ma non solo, ha rappresentato  la dimostrazione di come  lo studio, la ricerca, il sapere se vengono messi al servizio, in libertà e in autonomia, di una  “buona battaglia”  possono dare frutti duraturi , utili ad affrontare anche i tempi difficili dell’attualità.

Spero che  questo modesto contributo  all’opera e alla figura di Grandi, che ho  steso dandogli  volutamente la parola attraverso stralci dei suoi scritti,  invogli  ad un lavoro più completo di

raccolta, sistemazione e valorizzazione della sua opera e del suo pensiero.

Ma forse già da queste poche righe si è potuto cogliere come l’allievo di Mario Romani  ci consegna un bagaglio di  riflessioni e di stimoli assai utili per chi oggi deve occuparsi di relazioni industriali e delle problematiche di un lavoro che cambia.

D’altronte, per rimanere dentro un ambito strettamente sindacale, non è forse vero che, accantonata  la prospettiva dell’unificazione , oggi  siamo ancora interrogati dalle stesse problematiche  affrontate da Grandi: il modello sindacale, le forme della rappresentanza, i contenuti  e i livelli della contrattazione, il rapporto tra contrattare e partecipare, la difficile sintesi tra le istanze associative e quelle referendarie ?

Riappropriarsi, certo con i  naturali aggiornamenti , di alcuni dei suoi insegnamenti  potrebbe essere un’azione utile a molti, ma soprattutto a un sindacato come la Cisl ,  che  nell’affrontare  le temperie del tempo presente  vuole farlo in coerenza con i  propri valori fondativi, quei valori a cui Grandi è rimasto legato per tutta la  vita.