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LA CERTIFICAZIONE NEL CD. COLLEGATO LAVORO ED IL RUOLO DELLA BILATERALITA’

LA CERTIFICAZIONE NEL CD. COLLEGATO LAVORO  ED IL RUOLO DELLA BILATERALITA’
 
 
 
 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La certificazione nella cd. Legge Biagi. – 3. La certificazione nel cd. Collegato lavoro (l. n.183/2010) : a) L’ampliamento dell’ambito oggettivo della certificazione. – 4. b) Le tipizzazioni di ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo. – 5. c) La certificazione della clausola compromissoria. – 6. d) Le commissioni di certificazione come organi di conciliazione. La certificazione delle rinunzie e transazioni. – 7. e) La certificazione del regolamento interno di cooperativa. – 8. f) La certificazione retroattiva.

 
 
 
 

1. Premessa. ― Particolare rilievo assume l’istituto della certificazione nella riforma delle controversie di lavoro delineata dal cd. Collegato lavoro (l. n. 183/2010) ([1]). Sul piano applicativo ampio è il ruolo che può essere giocato dalla disciplina collettiva, con specifico riguardo agli enti bilaterali a livello territoriale. Pare dunque utile una ricostruzione dell’istituto, a partire dalle funzioni ad esso assegnate dalla cd. Legge Biagi, per poi esaminare le nuove aree di intervento del Collegato lavoro (artt. 30 e 31, l. n. 183/2010) e le relative questioni interpretative.

 
 

            2. La certificazione nella cd. Legge Biagi. ― La certificazione, introdotta nel nostro ordinamento dalla cd. Legge Biagi (art. 5, l. n. 30/2003) e dalle relative norme di attuazione (d.lgs. n. 276/2003 e s.m.i. ), peraltro in via sperimentale ([2]), è stata oggetto di approfondite analisi da parte della dottrina ([3]), ben più di quanto l’applicazione pratica dell’istituto mostrasse di meritare ([4]).

            La certificazione, nella Legge Biagi, assolve principalmente a due distinte funzioni: quella di esatta qualificazione dei contratti di lavoro e quella di consulenza e assistenza alle parti in relazione alla stipulazione del contratto ed alle modifiche successive.

            La prima funzione, che diversamente dall’impostazione originaria ([5]) è risultata preminente, ha l’obiettivo esplicito di ridurre, in via generale ([6]), il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, mirando a prevenire il sorgere stesso delle controversie che possono derivare dall’incerta natura del contratto che si va a realizzare ([7]).

            Riassumendo i tratti essenziali della disciplina, contenuta negli artt. 75-80 del decreto n. 276, si tratta di una procedura volontaria, posta in essere su richiesta scritta comune delle parti, davanti a commissioni di certificazione appositamente istituite presso: gli enti bilaterali; le Direzioni provinciali del lavoro e le Province ([8]); le università, pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate in un apposito albo presso il Ministero del lavoro ([9]), nonché i consigli provinciali dei consulenti del lavoro ([10]) e, in determinate ipotesi, la Direzione generale per la tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro ([11]). Circa l’ambito di competenza delle varie sedi di certificazione è da ritenere che per quelle legate ad un dato contesto territoriale (le Direzioni provinciali del lavoro, le Province, i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, gli enti bilaterali costituiti su base provinciale), il riferimento sia necessariamente il territorio provinciale mentre per gli enti bilaterali a rilevanza regionale o nazionale la competenza possa essere espressa in tali ambiti. Le università e le Fondazioni universitarie, così come la Direzione generale per la tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro, hanno invece competenza su tutto il territorio nazionale, come si evince peraltro dall’attività di certificazione finora realizzata ([12]).

            La procedura di certificazione deve svolgersi secondo principi indicati dalla legge: comunicazione dell’inizio del procedimento alla Direzione provinciale del lavoro e per il tramite di questa alle autorità pubbliche nei confronti delle quali la certificazione è destinata a produrre effetti; termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento; necessità della motivazione ed indicazione del termine nonché dell’autorità cui è possibile ricorrere; menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali per i quali la certificazione è richiesta. La certificazione dovrebbe, inoltre, svolgersi nel rispetto di codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili, in particolare per i diritti e i trattamenti economici e normativi, che avrebbero dovuto essere emanati tramite decreto sulla base delle indicazioni, se esistenti, contenute in accordi interconfederali.

            La procedura si conclude con un atto di certificazione che resta valido, anche verso i terzi ([13]), sino a sentenza di merito contraria per erronea qualificazione del contratto oppure per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione ([14]), fatti salvi in ogni caso i provvedimenti cautelari (l’atto di certificazione potrà inoltre essere impugnato per vizi del consenso). Prima del ricorso giurisdizionale è obbligatorio rivolgersi alla commissione che ha effettuato la certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ([15]).

            La natura sostanzialmente amministrativa dell’atto di certificazione si desume dalla prevista possibilità di ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

            La funzione di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, mediante anche tutte le informazioni utili per una scelta consapevole, prevista dall’art. 81, è attribuita alle sedi di certificazione «sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro». Tale attività può dunque essere svolta tanto in fase iniziale, in sede di costituzione del rapporto di lavoro, che in un momento successivo e può riguardare qualsiasi aspetto (la qualifica giuridica, il contenuto del programma negoziale, la disponibilità o meno dei diritti) ([16]).

            Tra le questioni emerse relativamente all’istituto della certificazione nella Legge Biagi merita segnalare:

            *come assicurare il carattere volontario della procedura, per far sì che il consenso del lavoratore sia realmente frutto di una sua libera decisione e non invece condizionato dalla necessità di ottenere una possibilità di impiego;

            *la scelta tra modello concorrenziale e, come anche possibile ([17]), modello cooperativo di certificazione, puntando ad un raccordo tra tutti i soggetti abilitati (strutture pubbliche – Direzioni provinciali del lavoro/Province –, coinvolgimento delle parti sociali – enti bilaterali – e supporto tecnico, in termini di studi e di elaborazione di indici e criteri di qualificazione, delle università e dei consulenti del lavoro);

            *gli effetti sul contratto di lavoro delle decisioni giudiziali che accertano l'illegittimità della certificazione e l'eventuale responsabilità degli organi abilitati;

            *i costi della certificazione;

            *il momento temporale nel quale si può effettuare la certificazione (nella fase iniziale del rapporto o anche in un momento successivo; problema ora risolto dal Collegato lavoro) ([18]).

            E’ da sottolineare d’altro lato il rilievo attribuito alla certificazione ai fini dell’espletamento dell’attività ispettiva. L’indirizzo per gli organi di vigilanza è infatti quello di rivolgersi prioritariamente verso i contratti di lavoro non certificati (cfr. direttiva del Ministero del lavoro 18 settembre 2008) ([19]).

 
 
 

            3. La certificazione nel cd. Collegato lavoro (l. n. 183/2010):  a) L’ampliamento dell’ambito oggettivo della certificazione. ― Una significativa valorizzazione dell’istituto della certificazione è operata dal Collegato lavoro, in particolare dagli articoli 30 e 31 della l. n. 183/2010. Di seguito riportiamo le principali novità.

            In primo luogo le procedure di certificazione possono riguardare contratti «in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro…» (art. 30, comma 4, di modifica dell’art. 75, d.lgs. n. 276/2003). Non solo quindi i contratti in cui parte contraente sia lo stesso lavoratore, ma anche quelli dove il lavoratore sia comunque coinvolto; ad esempio il contratto di somministrazione ([20]) (contratto di tipo commerciale tra agenzia fornitrice ed utilizzatore, in cui il lavoratore, pur soggetto al potere direttivo dell’utilizzatore, è titolare di un ordinario contratto di lavoro subordinato con l’agenzia fornitrice) o l’ipotesi del distacco (che si configura quando un datore di lavoro – distaccante – per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto – distaccatario – per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa) ([21]).

            Oltre che alla qualificazione del contratto di lavoro la certificazione è inoltre estesa «all’interpretazione delle relative clausole», non potendosi il giudice discostare dalle valutazioni espresse dalle parti (art. 30, comma 2). Le procedure di certificazione possono dunque riguardare sia la scelta di una determinata tipologia contrattuale sia il contenuto delle singole clausole, in raccordo con la più ampia finalità dell’istituto «di ridurre il contenzioso in materia di lavoro» (prima parte del nuovo art. 75, d.lgs. n. 276/2003, ex art. 30, comma 4) e non più soltanto quello «in materia di qualificazione» del contratto ([22]).

            Esemplificazione in tal senso è la possibile certificazione di «tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo» e «di elementi e parametri» circa l’applicazione dell’indennità per i licenziamenti illegittimi, di cui all’art. 8, della l. n. 604/1966, nonché la necessaria certificazione della clausola compromissoria ([23]). Ciò non pare tuttavia possa dar luogo ad un mutamento nella gerarchia delle fonti, tramite l’introduzione di ipotesi di cd. derogabilità assistita ([24]). E’ da sottolineare infatti che l’attività di certificazione, lungi dall’essere discrezionale, si concretizza semplicemente nella verifica ed attestazione che le pattuizioni individuali siano conformi al dettato normativo corrispondente. Rispetto all’atto certificato si propende infatti per il riconoscimento «di una discrezionalità tecnica, consistente nella valutazione dei contratti effettuata sulla base di precise regole e procedimenti di carattere scientifico» ([25]). Di conseguenza il giudice nell’interpretazione delle varie clausole del contratto si dovrà attenere alla valutazione espressa dalle parti in sede di certificazione, come già dispone l’art. 1362 c.c. , ma se ne dovrà discostare quando tali clausole violino disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo o qualora le parti abbiano tenuto un comportamento difforme dal programma negoziale certificato ([26]). Nel caso peraltro di dubbi interpretativi pare opportuno rinviare alle sedi di interpretazione autentica previste dalla contrattazione collettiva, pena il venir meno della tendenziale unitarietà della disciplina collettiva applicabile.

 
 

            4. b) Le tipizzazioni di ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo. ― Nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento si prevede inoltre che il giudice tenga conto delle «tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro» certificati; il giudice «tiene egualmente conto» di elementi e parametri fissati dai «predetti contratti» certificati, in merito alle conseguenze economiche derivanti da licenziamento illegittimo (in regime di stabilità obbligatoria) (art. 30, comma 3).

            Pur non essendo il riferimento alle tipizzazioni previste, oltre che dalla regolazione collettiva, dai contratti individuali una assoluta novità (si veda per i dirigenti) ([27]), ci si è interrogati sulla portata di tale previsione potendo essa dare luogo ad una sorta di tipizzazione delle cause di licenziamento ad personam, con esiti discriminatori, tra lavoratore e lavoratore, all’interno della stessa azienda ([28]). In particolare si pone il problema del carattere sostitutivo o meramente integrativo delle tipizzazioni individuali certificate rispetto a quelle stabilite dalla disciplina collettiva.

            Innanzitutto, anche sulla base del dettato letterale definitivo – «tiene conto» – ([29]) è da ritenere che il giudice non sia vincolato ad attenersi alle tipizzazioni dell’autonomia individuale certificata, ben potendola disattendere qualora egli la consideri non corrispondente alle nozioni legali, pur dovendo motivare la propria decisione. D’altro lato, per quanto sopra detto, l’attività di certificazione non potrà svolgersi in contrasto con il quadro ordinamentale, comprensivo di quello stabilito dalla contrattazione collettiva. Così qualora esista una disciplina collettiva applicabile, la clausola individuale difforme, se peggiorativa per il lavoratore, è da considerarsi nulla ai sensi dell’art. 2077 c.c. , al pari della clausola di tipicizzazione del licenziamento che sia ad esempio contraria al principio di proporzionalità, sancito dall’art. 2106 del c.c. e sotteso dall’art. 7, Stat. lav. . E’ da ritenere dunque che la disposizione in esame possa trovare applicazione o in settori del tutto privi di regolamentazione collettiva o per le ipotesi di integrazione delle tipizzazioni di giusta causa o di giustificato motivo contenute nei contratti collettivi ([30]).

 
 

            5. c) La certificazione della clausola compromissoria. ― Deve inoltre essere certificata, a pena di nullità, la  clausola compromissoria, di cui all’art. 808 c.p.c. ([31]), che d’altro lato può essere pattuita solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ([32]). Alle commissioni di certificazione è infatti affidato l’accertamento della «effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro» (art. 31, comma 10).

             Come noto la regolazione della clausola compromissoria è stata tra i punti maggiormente dibattuti del Collegato lavoro. Al riguardo è da segnalare il tendenziale raccordo in sede attuativa tra i soggetti che, attraverso la contrattazione collettiva (“a monte”), sono chiamati a disciplinare la clausola compromissoria ed i soggetti che (“a valle”) certificano l’effettiva volontà delle parti individuali di utilizzarla. Tali soggetti non potranno che essere in via prioritaria gli enti bilaterali a livello territoriale, ed in tal senso può utilmente orientarsi la disciplina collettiva applicativa ([33]). D’altro lato per chiudere il cerchio del “circuito sindacale” (clausola compromissoria/certificazione/arbitrato), gli enti bilaterali, oltre a svolgere funzioni certificatorie della clausola compromissoria, possono istituire, da soli, o in convenzione con altre sedi di certificazione, come prevede la riforma (art. 30, comma 12), proprie camere arbitrali oppure rinviare ai collegi arbitrali previsti dalla contrattazione collettiva.

            Rispetto alle materie che possono essere oggetto di clausola compromissoria, oltre all’espressa esclusione per legge delle «controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro» (non solo dunque licenziamento ma anche dimissioni e scadenza del termine) si possono ipotizzare altre esclusioni (secondo quanto ad esempio disposto dall’art. 38-bis dell’accordo di rinnovo del Ccnl Terziario, del 26 febbraio 2011 – che esclude anche la materia «degli infortuni e delle malattie professionali, del mobbing, delle molestie sessuali e degli istituti di cui alla sez. IV, titolo V, capo IX» - Maternità e Paternità) oppure, rovesciando la prospettiva, indicare in positivo le aree rispetto alle quali può operare la clausola compromissoria (ad esempio questioni retributive e di inquadramento professionale) ([34]).

            A garanzia del lavoratore la legge stabilisce inoltre che «la clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi» ([35]). La commissione di certificazione è chiamata infatti ad accertare che la volontà delle parti, più propriamente del lavoratore, di ricorrere all’arbitro non sia sottoposta a vincoli e condizionamenti (in vista di ottenere un impiego) ([36]). Al riguardo si è sottolineato come l’intento del legislatore sia difficilmente perseguibile per le qualifiche di scarso contenuto professionale, per le quali il patto di prova è limitato nel tempo ([37]).

            Inoltre, per evitare facili raggiri (data di stipulazione del contratto di lavoro antecedente al momento di inizio della prestazione), in sede di certificazione della clausola compromissoria si dovrà operare una puntuale verifica che l’assunzione del lavoratore sia già in essere ed il rapporto dotato di una certa stabilità ([38]).

            Di particolare rilievo è inoltre il “divieto di delega” nella certificazione, evitando così che la certificazione si traduca in un mero adempimento burocratico. La necessaria audizione delle parti e la loro personale presenza davanti alle sedi di certificazione è prevista dall’art. 5, punto 3, d.m. 12 luglio 2004 ([39]) (cfr. anche circ. Ministero lavoro 15 dicembre 2004, n. 48), seppur in riferimento alle commissioni di certificazione presso le Direzioni provinciali del lavoro e le Province. Ciò si desume peraltro dal testo normativo, quanto meno in riferimento alla certificazione della clausola compromissoria (dove le parti possono «farsi assistere» da un legale o da un rappresentante sindacale o professionale, art. 31, comma 10), parendo dunque indispensabile la diretta audizione delle parti in ordine al concreto svolgimento del rapporto di lavoro ([40]).

            Da considerare infine i costi relativi alla certificazione. Sul punto pare opportuno esplicitare, in sede applicativa, la non onerosità per il lavoratore della procedura di certificazione, quanto meno in riferimento alla clausola compromissoria, potendosi invece distinguere al riguardo tra imprese che applicano il contratto collettivo e versano la quota di adesione all’ente bilaterale ed imprese non aderenti ([41]).

 
 

            6. d) Le commissioni di certificazione come organi di conciliazione. La certificazione delle rinunzie e transazioni. ― Presso le sedi di certificazione «può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. » (art. 31, comma 13). Accanto al tentativo obbligatorio di conciliazione, prima del ricorso giudiziario, rispetto all’atto certificato (ex art. 80, comma 4, d.lgs.  n. 276/2003), si prevede dunque un’ulteriore sede conciliativa. Tale funzione conciliativa, di ordine generale ([42]), stante il richiamo all’art. 410 c.p.c. , comporta che le rinunzie e le transazioni raggiunte in sede di commissione di certificazione siano dotate del carattere dell’inoppugnabilità (nella presunzione che la presenza di un soggetto terzo – in questo caso l’organo di certificazione – faccia venire meno la condizione di inferiorità negoziale del lavoratore, ex art. 2113, ultimo comma, c.c. ) ([43]). Non è peraltro specificato l’iter procedurale da seguire per la conciliazione dinanzi agli organi di certificazione, non escludendosi che possa essere individuata una procedura in parte difforme dal modello indicato dal nuovo art. 410 c.p.c. ([44]).

            E’ poi estesa a tutte le sedi di certificazione, e non solo con esclusivo riferimento agli enti bilaterali, come già previsto dall’art. 82, d.lgs. n. 276/2003, la competenza «a certificare le rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c. a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse» (art. 31, comma 14). La portata di tale previsione non è del tutto chiara, dal momento che l’efficacia giuridica delle rinunzie e transazioni effettuate presso le sedi di certificazione, anche sulla base del dato letterale, pare essere la stessa di quella disposta dall’art. 2113, ultimo comma, c.c. (inoppugnabilità) ([45]), con evidente sovrapposizione della disciplina in materia di conciliazione dinanzi agli organi di certificazione sopra richiamata.

            La certificazione di singole rinunzie e transazioni, a conferma della volontà dispositiva delle parti (con conseguente inoppugnabilità di detti negozi), potrebbe peraltro assumere specifico rilievo nell’ambito delle procedure di certificazione relative alla qualificazione ed interpretazione dei contratti di lavoro, ferma restando la generale competenza conciliativa delle sedi di certificazione ([46]).

 
 

            7. e) La certificazione del regolamento interno di cooperativa. ― E’ estesa inoltre a tutte le sedi di certificazione, e non più solamente a Direzioni provinciali del lavoro e Province ([47]), la competenza in merito al regolamento interno di cooperative, riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi dell’art. 6, della l. n. 142/2001, e successive modificazioni (art. 31, comma 15, di abrogazione del comma 2, dell’art. 83, d.lgs. n. 276/2003).

            La materia è alquanto delicata, stante il frequente ricorso al lavoro in cooperativa per prestazioni di carattere manuale, dove forte è la presenza di lavoratori in particolari condizioni di disagio (si pensi agli extracomunitari) e a rischio di sfruttamento ([48]). In tale ipotesi l’istanza di certificazione non proviene da un comune e volontario intendimento delle parti ma da una delibera, unilaterale, societaria (presentata in genere dal Presidente o dal rappresentante legale della cooperativa). Oggetto della certificazione è peraltro non un contratto di lavoro bensì un atto, il regolamento interno di cooperativa, che sta alla base dei successivi singoli contratti di lavoro tra cooperativa e soci lavoratori. Le commissioni di certificazione sono pertanto chiamate a verificare la compatibilità delle tipologie contrattuali prescelte (lavoro subordinato, collaborazione, ecc…) per le diverse posizioni dei soci lavoratori nell’organizzazione aziendale, al fine di evitare possibili abusi e simulazioni ([49]) ( [50]).

 
 

            8. f) La certificazione retroattiva. ― Il Collegato lavoro ha introdotto anche un possibile effetto retroattivo dell’accertamento realizzato nelle sedi di certificazione.

            L’art. 31, comma 17, con l’aggiunta del comma 2 all’art. 79, d.lgs. n. 276/2003, stabilisce infatti che «gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede». Si produce dunque un effetto ex tunc della certificazione, con notevoli vantaggi per il datore di lavoro che in tal modo “blinda” il rapporto di lavoro anche per il passato, diventando esso opponibile ai terzi e conservando la propria efficacia fino a sentenza di merito di segno contrario ([51]).

            L’accertamento sulle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro anche per il passato, può essere effettuato dalla commissione di certificazione con una        pluralità di strumenti: tramite l’audizione di testimoni, anche non scelti dalle parti; la visione di documentazione probante antecedente (ad esempio i versamenti contributivi); nonché, se necessario, l’accesso sul luogo di lavoro ([52]).

            La seconda parte della norma in esame (art. 31, comma 17) prevede che la certificazione possa essere richiesta, anche per il futuro, con riferimento a contratti non ancora sottoscritti dalle parti. In tali ipotesi gli effetti della certificazione si producono solo se e quando le parti sottoscrivano il contratto, con le integrazioni e le modifiche eventualmente suggerite dalla commissione. Le parti possono dunque opportunamente avvalersi della funzione consulenziale delle commissioni di certificazione sia per la stipula che per l’integrazione del contratto ([53]).

 
 
 
 
 
                                                                                             
Marco Lai
 

            Centro Studi Cisl/Università di Firenze

 
 
 
 
 
           
 


([1]) Cfr. tra gli altri G. Falasca, Potenziata la certificazione dei contratti di lavoro, GLav, ottobre 2010, Speciale Collegato Lavoro, 15 ss. ; F. Natalini, Le novità del Collegato lavoro in tema di certificazione, GLav, ottobre 2010, Speciale Collegato Lavoro, 18 ss. ; F. Pasquini – M. Tiraboschi, La certificazione dopo il collegato lavoro (l.183/2010), Sole 24Ore, 2011; S. CentofantiLa certificazione dei contratti di lavoro, in Il contenzioso del lavoro nella Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), a cura di M. Cinelli – G. Ferraro, Giappichelli, 2011, 17 ss. ; E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, DPL, 2011, 177 ss. ; S. Canali De Rossi, Certificazione dopo il Collegato lavoro: aspetti giuridici, DPL, 2011, 1412 ss. ; P. Rausei, Certificazione dei contratti: origini, natura e funzioni, DPL, 2011, 1513 ss. e Id. , Organismi e procedure della certificazione dei contratti, DPL, 2011, 1569 ss. ; Id. , Certificazione dei consulenti del lavoro, DPL, 2011, 1637 ss. ; Id. , Certificazione: effetti ed efficacia, DPL, 2011, 1677 ss. ; Id. , Certificazione: rimedi esperibili, DPL, 2011, 1745 ss. ; Id. , Commissioni di certificazione, DPL, 2011, 1793 ss.

([2]) Ai sensi dell’art. 86, comma 12, d.lgs. n. 276/2003 le disposizioni contenute, tra l’altro, nel titolo VIII avrebbero dovuto essere oggetto di verifica con le organizzazioni sindacali entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore, per valutarne l’ulteriore vigenza.

([3]) Cfr. in particolare: E. Ghera, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, DPL, 2002, 527 ss. ; L. Nogler, Sub Titolo VIII Procedure di certificazione, in Il nuovo mercato del lavoro,  a cura di M. Pedrazzoli, Zanichelli, 2004, 869 ss. ; M. Tiraboschi, La c.d. certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziariaLD, 2003, 101 ss. ; V. Speziale, Sub Titolo VIII Procedure di certificazione, in Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, a cura di P. Bellocchi – F. Lunardon – V. Speziale,Ipsoa, 2004, 140 ss.; A. Tursi, La certificazione, in Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali, a cura di M. Magnani – P. Varesi, Giappichelli, 2005, 595 ss. ; per i risvolti operativi cfr. in particolare E. Massi, La certificazione dei rapporti di lavoro, DPL, 2004, n. 34, inserto.

([4]) Le istanze di certificazione, a distanza di anni dall’entrata in vigore dell’istituto, sono complessivamente nell’ordine di qualche migliaio, la gran parte (6.956 al dicembre 2009) presentate dinanzi alla commissione di certificazione istituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati «Marco Biagi» del Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Le istanze di certificazione presentate dinanzi alle commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro risultano in totale 3.380 (dati al 31 dicembre 2009), mentre assai meno numerose sono quelle presentate dinanzi alle altri sedi di certificazione. Nonostante l’attenzione del legislatore, dai dati ufficiali, non risultano sinora attivate procedure di certificazione presso gli enti bilaterali; cfr. per riferimenti, F. Pasquini – M. Tiraboschiop. cit. , 215 ss. ; cfr. anche P. Rausei, Commissioni di certificazioneop.      cit. , 1796-1797. Per la necessaria rappresentatività delle associazioni costituenti enti bilaterali che possono svolgere funzioni di certificazione, cfr. nota Ministero del lavoro 29 luglio 2005.

([5]) La certificazione è prospettata per la prima volta nel progetto di “Statuto dei lavori”, elaborato in sede ministeriale nei primi mesi del 1998, a cura di M. Biagi, su indicazione dell’allora Ministro del Lavoro T. Treu (per il testo cfr. T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, Il Mulino, 2001, 317; e già DRI, 1999, 275 ss. ) nell’ambito di una più ampia operazione di politica legislativa volta ad una rimodulazione ed articolazione delle tutele tra lavoro autonomo, parasubordinato e subordinato. Nella bozza di Statuto dei lavori «il meccanismo di validazione amministrativa dei rapporti di lavoro era strumentale (anche) alla individuazione di un’area di inderogabilità relativa (affiancata ad un’area di inderogabilità assoluta, e come tale intangibile, di diritti fondamentali imputabili a ogni prestazione lavorativa), gestibile dalle parti collettive in sede di contrattazione collettiva e/o dalle parti individuali in sede di costituzione del rapporto di lavoro ma, in questo caso, solo davanti all’organo amministrativo/sindacale (retribuzioni sopra la soglia della sufficienza, gestione dei percorsi di carriera, durata del preavviso, stabilità del rapporto…) », in tal senso M. Tiraboschi, op. cit. , 112.

([6]) Cfr. art. 75, d.lgs. n. 276/2003, come sostituito dall’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 251/2004.

([7]) Ulteriore finalità, secondo i promotori, avrebbe dovuto essere quella di «consentire di intercettare ampie fasce di lavoro irregolare o sommerso che verrebbero canalizzate verso schemi contrattuali personalizzati», cfr. Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della riforma Biagi, conseguendone in tal modo un incremento delle entrate fiscali e contributive, cfr. E. Ghera, op. cit. , 535.

([8]) Con d.m. 21 luglio 2004 si è regolamentato l’insediamento delle commissioni di certificazione presso le Direzioni provinciali del lavoro e le Province; in riferimento alle commissioni di certificazione presso le Direzioni provinciali del lavoro, vedi anche la circ. Ministero del lavoro 15 dicembre 2004, n. 48, che rende inoltre note le modalità di stipula dell’istanza di certificazione, del provvedimento di certificazione, del provvedimento di rigetto dell’istanza e le linee guida alla certificazione, ovvero gli elementi utili alla certificazione di alcune tipologie contrattuali.

([9]) Con d.interm. 14 giugno 2004 si è istituito l’albo delle commissioni di certificazione universitaria e si sono definite le modalità di iscrizione da parte degli atenei pubblici e privati; cfr. anche lettera circ. Ministero del lavoro 17 febbraio 2005. Cfr. sul punto F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 220. Per le sedi universitarie ad oggi abilitate a certificare i contratti di lavoro, cfr. , da ultimo,  P. Rausei, Commissioni di certificazioneop. cit. , 1794.

([10]) Le commissioni di certificazione istituite presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro sono abilitate a certificare «esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 76, comma 1, lett. c-ter). Sul punto la dottrina è divisa tra chi, sulla base dell’immutato dato letterale, anche dopo il Collegato lavoro, ritiene che la competenza a certificare da parte dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro, riguardando esclusivamentecontratti di lavoro, sia più ristretta di quella prevista per le altre sedi di certificazione (in tal senso E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, op. cit. ,178) e chi invece, pur rilevando la non piena armonia della norma in esame con le innovazioni apportate dalla l. n. 183/2010, considera superate le originarie differenze, ritenendo che «la locuzione “contratti di lavoro” debba essere necessariamente intesa con riferimento all’odierna portata dell’istituto della certificazione così come declinato dal nuovo testo dell’art. 75 del D.Lgs n. 276/2003 » (cfr. P. Rausei, Certificazione dei consulenti del lavoro, op. cit. , 1640. Per ulteriori considerazioni cfr. F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 65-67).

E’ da segnalare peraltro che, in base alle modifiche apportate dall’art. 30, comma 5, l. n. 183/2010, le commissioni di certificazione presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro potranno essere costituite «unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l’attribuzione a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi». Cfr. al riguardo il Protocollo d’intesa del 18 febbraio 2011 sottoscritto tra il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ed il Ministero del lavoro. Con circ. n. 1056/2011, il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ha trasmesso ai consigli provinciali lo schema di regolamento per l’istituzione delle Commissioni di certificazione, al quale devono attenersi le commissioni nei diversi ambiti provinciali; cfr. P. Rausei, Certificazione dei consulenti del lavoro, op. cit. , 1639 ss.

([11]) L’ampliamento dei soggetti abilitati alla costituzione delle commissioni di certificazione è stato operato con l’art. 1, comma 256, della l. n. 266/2005 (l. Finanziaria 2006).

([12]) Cfr. E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, op. cit. ,183. Per considerazioni critiche al riguardo, stante anche i maggiori costi a cui può andare incontro il lavoratore, che deve necessariamente sottoporsi ad un tentativo di conciliazione davanti all’Università che ha certificato l’atto, a suo tempo scelta di norma dal datore di lavoro, prima di poter far valere i propri diritti in via giudiziale, cfr. S. Centofanti, op. cit. ,  26-27.

([13]) La certificazione dei contratti di lavoro può essere opposta, fino a sentenza di merito contraria, a tutti i terzi nei cui confronti esplica effetti, compresi gli organismi ispettivi e di vigilanza. «Tuttavia, ciò non può impedire ai soggetti che si occupano di vigilanza e di controllo l’effettuazione degli accertamenti di propria competenza, anche con riguardo al contratto certificato. La certificazione, infatti, non blocca l’ispezione del lavoro, né, tanto meno, quella previdenziale o assicurativa o fiscale. L’effetto diretto che il contratto certificato riveste nei confronti dei terzi vigilanti e interessati è, piuttosto, quello di impedire l’immediata ricostruzione del rapporto di lavoro in termini diversi con applicazione delle conseguenze connesse, comprese quelle di natura sanzionatoria»; cfr. più ampiamente sul punto P. Rausei, Certificazione: effetti ed efficacia, op. cit. , 1677 ss. ; cfr. anche S. Canali De Rossi, op. cit. , 1416.

([14]) Secondo il principio di “effettività” affermato in particolare da C. cost. , 31 marzo 1994, n. 115. Tra le prime pronunce di merito sull’istituto della certificazione si veda: T. Milano, 22 giugno 2009, n. 2647; T. Bergamo, 20 maggio 2010, n. 416; T. Bergamo, 12 ottobre 2010, n. 718; A. Brescia, 22 febbraio 2011, n. 70. Le tre pronunce da ultimo menzionate, tutte relative a soci lavoratori di cooperativa occupati con contratti di lavoro a progetto certificati, si sono espresse nel senso di un disconoscimento della valutazione espressa in sede di certificazione; cfr. P. Rausei, Certificazione: effetti ed efficacia, op. cit., 1683-1684. Ci si è domandati «se il datore di lavoro/committente potrà essere esentato dalle sanzioni degli Enti avendo incolpevomente fatto affidamento sull’atto erroneamente certificato» e, d’altro lato, «se possano sorgere delle responsabilità di carattere civilistico dei componenti della commissione stessa, quale organo nei confronti del datore di lavoro/committente, a seguito dell’erronea certificazione» ; cfr. S. Canali De Rossi, Certificazione dopo il Collegato lavoro: aspetti giuridici, op. cit. , 1417.

([15]) Unico caso in cui è rimasto obbligatorio il tentativo di conciliazione (cfr. art. 31, comma 2, l. n. 183/2010). Manca tuttavia, almeno sul piano formale, la sanzione processuale relativa all’improcedibilità del ricorso, essendo stato abrogato l’art. 412 bis c.p.c. . Cfr. F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 27.

([16]) Cfr. in particolare V. Speziale, op. cit. , 226 ss. ; L. Nogler, op. cit. , 908 ss. «Pare essere questa una delle strade più innovative per l’istituto in esame, giacchè sembra risiedere qui una forza intrinseca della certificazione, volta a dare non soltanto certezza ma piuttosto a guidare l’incontro di volontà delle parti, assistendole in maniera significativa»; cfr. P. Rausei, Organismi e procedure della certificazione dei contratti, op. cit. , 1580.

([17]) Ai sensi dell’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 276/2003 si prevede infatti la possibilità che le diverse sedi di certificazione possano concludere convenzioni con le quali prevedere la costituzione di una commissione unitaria di certificazione.

([18]) Cfr. art. 31, comma 17, infra.

([19]) Cfr. sul punto F. Natalini, op. cit. , 18, secondo il quale verrebbe assegnata una sorta di “presunzione di legalità” ai contratti certificati. Per il rilievo che la certificazione ex  d.lgs. n. 27672003 assume in materia di salute e sicurezza del lavoro nell’ambito dei sistemi di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, cfr. art. 27, d.lgs.   n. 81/2008 e s.m.i. Cfr. più ampiamente M. Lai, Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro, Giappichelli, 2010, 88-90.

([20]) Ex artt. 20/28, d.lgs. n. 276/2003 e s.m.i. ; cfr. già in tal senso Ministero del lavoro, risposta ad interpello n. 81/2009.

([21]) Ex art. 30, d.lgs. n. 275/2003. Si sono richiamati, tra gli altri, anche i contratti di lavoro che hanno ad oggetto la cessione di azienda o di un suo ramo, con il coinvolgimento, ex art. 2112 c.c. , dei relativi contratti di lavoro; cfr. M. Marazza, Effetti e ambito di applicazione più ampi per la certificazione dei contratti di lavoro, GDir. , novembre 2010, 26. Per l’ampia portata della disposizione in esame cfr. P. Rausei, La certificazione dei contratti: origini, natura e funzioni, op. cit. ,1515.

([22]) A titolo di esempio si è riportata la clausola appositiva del termine nel contratto di lavoro subordinato e le clausole elastiche e flessibili nei contratti di lavoro a tempo parziale; cfr. M. Marazza , op. cit. , 26.

([23]) Cfr. infra.

([24]) Cfr. , anche per riferimenti di dottrina, M. Corti, Il cd. Collegato lavoro: clausole generali, certificazione, conciliazione e arbitrato, in q. Riv. , 2011, III, 10-11.

([25]) Cfr. sul punto F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 17. Di «coerenza formale» tra le clausole contenute nel contratto da certificare e volontà espressa dalle parti stipulanti, parla F. Natalini, op. cit. , 18.

([26]) Cfr. M. Corti, op. cit. , 11.
([27]) Cfr. E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, op. cit. ,180.

([28]) Cfr. per richiami al riguardo F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 39. Cfr. più ampiamente sul punto F. Natalini, op. cit., 19 ss.

([29]) Nelle precedenti versioni della disposizione in esame (art. 65, comma 3, d.d.l. n. 1441- quater) il giudice infatti sembrava essere maggiormente vincolato – «fa riferimento» – alle tipizzazioni dell’autonomia individuale certificata; cfr. sul punto, anche per riferimenti di dottrina, M. Corti, op. cit. , 12.

([30]) Cfr. S. Centofanti, La certificazione dei contratti di lavoro, op. cit. ,32-33.

([31]) Ai sensi dell’art. 808 c.p.c. «1. Le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purchè si tratti controversie che possono formare oggetto di convenzione d’arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall’articolo 807. 2. La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria».

([32]) Venendo a correggere l’originaria impostazione del Collegato lavoro, che anche per tale aspetto rinviava alle pattuizioni individuali.

([33]) Cfr. sul punto l’art. 37-ter, accordo di rinnovo Ccnl Terziario, del 26 febbraio 2011.

([34]) In merito alle tipologie di rapporti di lavoro rispetto alle quali possono essere pattuite clausole compromissorie (tutte quelle di cui all’art. 409 c.p.c. ) si è osservato come scarsamente significativo sia il rinvio operato dalla legge alla contrattazione collettiva per la vasta area dell’autonomia e della parasubordinazione (per tutti i contratti a progetto), stante l’assenza di una disciplina collettiva in materia; cfr. E. Massi, Clausole compromissorie e commissioni di certificazione, DPL, 2011, 1008.

([35]) Il recente rinnovo del Ccnl Terziario (art. 38-bis) aggiunge: «nonché dalle lavoratrici dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino».

([36]) Si è sottolineato come la commissione di certificazione «dovrà accertare, ancor prima della volontà compromissoria, la consapevolezza da parte dei richiedenti, e quindi in particolare del lavoratore, del contenuto oggettivo e della portata delle prerogative di tutela giurisdizionale cui si rinuncia», cfr. S. Centofantiop. cit. , 37.

([37]) Cfr. E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive,  op. cit. ,181.

([38]) «La formulazione di legge, per cui devono essere trascorsi “almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro”, va infatti in tal caso riferita allo svolgimento di rapporto, poiché la voluntas legis è stata quella di consentire alle parti, e specialmente al lavoratore, una fase di prima verifica dello svolgimento del rapporto...», in tal senso S. Centofanti, op. cit. , 40; cfr. anche E. Massi, op. ult. cit. , 181.

([39]) Ai sensi dell’art. 5, punto 3 , d.m. 21 luglio 2004, «Le parti presenziano personalmente all’audizione e, solo in caso di comprovate motivazioni valutate dal presidente della commissione, possono farsi rappresentare da un soggetto appositamente delegato». Per l’illegittimità della pur ridotta possibilità di delega da parte del lavoratore posta dalla norma in esame, cfr. S. Centofanti, op. cit. ,34.

([40]) L’obbligo «di audizione dei lavoratori interessati» è sancito dal regolamento per l’istituzione delle commissioni di certificazione (art. 1, punto 5) nell’ambito del Protocollo d’intesa tra Consiglio Nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro e Ministero del lavoro del 18 febbraio 2011.

([41]) Cfr. il Regolamento della Commissione di certificazione istituita presso l’Ebicom (Ente bilaterale del Commercio e Turismo) di Treviso.

([42]) Rileva come si tratti di materia conciliativa “a tutto campo” E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, op. cit. ,182.

([43]) Stante il carattere di inoppugnabilità delle transazioni raggiunte davanti alla commissione di certificazione, l’attività conciliativa della commissione dovrà risultare particolarmente vigile «cercando, nei limiti del possibile, di fare in modo che la volontà del prestatore, parte più debole del rapporto, si esprima senza condizionamenti ed avendo ben presente il limite della indisponibilità dei diritti del lavoratore, come nell’ipotesi di una rinuncia (affetta da nullità) relativa a propri diritti non ancora disponibili», in tal senso E. Massi, op. ult. cit. , 182.

([44]) In modo particolare «per quanto concerne i termini di decadenza per l’azione giudiziaria nel caso di rifiuto della conciliazione o di mancato accordo nel corso della relativa procedura»; cfr. G. Ferraro, La conciliazione, in Il contenzioso del lavoro nella Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), a cura di M. Cinelli – G. Ferraro, op. cit. , 79.

([45]) Cfr. in tal senso A. Tursi, La certificazione, op. cit. , specie 607-608. Per le diverse posizioni della dottrina al riguardo, cfr. F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 99.

([46]) La lettera b), del comma 14, dell’art. 31, aggiunge infine all’art. 82, d.lgs. n. 276/2003, un comma 1-bis, secondo il quale anche alle rinunzie e transazioni intervenute in sede di certificazione «si applicano, in quanto compatibili, le procedure previste dal capo I del presente titolo», e cioè quelle relative alla certificazione in generale. Si è evidenziato come problematica rimanga l’individuazione dei rimedi esperibili nei confronti delle certificazioni in materia di rinunzie e transazioni «non risultando pertinenti quelli previsti nell’art. 80, d.lgs. n. 276/2003, che riguardano la qualificazione dei contratti e dovendosi pertanto applicare i rimedi tradizionali di diritto comune per l’annullamento degli atti negoziali illegittimi» ; in tal senso G. Ferraro, op. cit. , 80.

([47]) Più precisamente alla specifica commissione da istituire presso la Provincia, ai sensi del d.m.  21 luglio 2004. Cfr. il disposto dell’originario comma 2, dell’art. 83,  d.lgs. n. 276/2003, ora abrogato.

([48]) Cfr. sul punto E. Massi, Commissioni di certificazione: problemi e prospettive, op. cit. , 179.

([49]) Cfr. più ampiamente F. Pasquini – M. Tiraboschi, op. cit. , 100-101.

([50]) E’ da richiamare, per completezza della materia in esame, che le procedure di certificazione possono essere utilizzate anche in relazione ai contratti di appalto, sia in sede di stipulazione degli stessi sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale (cfr. art. 84, d.lgs. n. 276/2003, non oggetto di modifiche da parte del Collegato lavoro). Per quanto sopra detto è dubbio che la competenza a certificare i contratti di appalto possa essere esercitata anche da parte dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Per una ricognizione delle principali problematiche inerenti l’appalto, con utili indicazioni operative, cfr. circ. Ministero del lavoro 11 febbraio 2011, n. 5.

([51]) Cfr. in tal senso E. Massi, op. ult. cit. , 180. Il giudice potrà, in ogni caso, effettuare un accertamento difforme, ponendo fine,  con carattere retroattivo, agli effetti della certificazione; cfr., anche per riferimenti, M. Corti, op. cit. , 12.

([52]) Cfr. S. Centofanti, op. cit. , 34.
([53]) Cfr. E. Massi op. ult. cit. , 180.

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