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La formazione dei quadri e dei dirigenti nell’esperienza e nella storia della CISL

1.     Esattamente sessant’anni fa, il 15 ottobre del 1951, prendeva l’avvio a Firenze in via Gustavo Modena, dove Giulio Pastore aveva collocato, utilizzando uno storico albergo cittadino, la prima sede del Centro Studi Cisl, il primo corso di formazione cosidetto “lungo”, rivolto cioè a giovani quadri del sindacato “nuovo” destinati a ricoprire nell’organizzazione rilevanti ruoli dirigenziali.

Chi volesse ritrovare non solo la cronaca di quella iniziale esperienza formativa , unica nello scenario del rinnovato pluralismo sindacale di quel periodo, ma anche una stimolante riflessione sulle forme e sui contenuti dell’attività formativa per l’affermazione del modello sindacale propugnato dalla Cisl, può rifarsi al bel volume di Aldo Carera “Allievi sindacalisti” pubblicato da Bibliolavoro, frutto di una ricerca avviata sui primi anni di attività del Centro Studi ricavata dalla consultazione delle carte dell’Archivio della formazione sindacale Cisl del Centro stesso.

A dire il vero, l’attività del Centro Studi di Firenze era iniziata qualche mese prima con 3 corsi settimanali, dal 3 al 23 giugno, riservati ai dirigenti delle Unioni Sindacali Provinciali, sulla politica salariale produttivistica.

Qui mi interessa più di tutto dar conto, anche dal punto di vista cronologico, dello strettissimo legame originario che intercorre tra l’idea, i valori, le politiche del sindacato che si era affacciato con elementi di indubbia novità e discontinuità nel travagliato panorama del mondo del lavoro del nostro paese e la pratica della formazione sindacale per i propri quadri e militanti.

L’esperienza del Centro Studi nazionale prende dunque l’avvio subito dopo, a pochi mesi di distanza , dalla fondazione della Cisl , a riprova del fatto che per Giulio Pastore e Mario Romani il “mestiere” di rappresentare il lavoro, sopratutto se si voleva farlo con modalità e contenuti innovativi, non poteva mai essere scisso dalle attività di studio, approfondimento, ricerca.

Se il sindacato associazione, fondato sui valori dell’autonomia e della partecipazione e sulla pratica della contrattazione, non mutuava dalle precedenti esperienze né si rifaceva a modelli ideologici, ma puntava sulla bontà intrinseca di un “metodo sindacale” che,, partendo dall’analisi della realtà, si prefiggeva pragmaticamente di cambiarla a favore del lavoro, allora risulta evidente come per la Cisl fin dalle origini la formazione dei sindacalisti non fosse una delle tante “funzioni” in aggiunta a quelle più riconosciute di contrattare, concertare, dare tutele, crescere gli associati.

Al contrario, organizzare momenti e sedi che con continuità permettessero a militanti e quadri dell’organizzazione di ritrovarsi per riflettere, approfondire, studiare senza i vincoli politici degli organismi, dava alla formazione nel modello Cisl una sorta di “mission” trasversale, connaturata nel modello ed esplicitamente finalizzata ad alimentare tutte le funzioni sindacali.

Scrive infatti Carera: “Lo snodo storiografico è nella formazione intellettuale di una dirigenza che a Firenze aveva arricchito la propria cultura, appreso nozioni tecniche e competenze professionali, migliorando i propri rapporti interpersonali, sperimentando la vita del nuovo sindacato. L’intenzione era di attribuire valore alle conoscenze coniugando sapere e agire intellettuale a sostegno della crescita personale liberamente determinata all’interno di un quadro valoriale predefinito e condiviso”.

Senza esagerare credo, insomma, che ci si possa rifare ad un “valore generale” della funzione formativa nel rapporto con l’organizzazione e i suoi obiettivi, oltre ad assolvere ad una straordinaria occasione “educatrice” nei confronti delle persone coinvolte nei processi.

Forse su questi due aspetti dell’esperienza Cisl, quello della funzione formativa come valore generale e conseguentemente del sindacato educatore, si dovrebbe riflettere di più all’interno e all’esterno dell’organizzazione, anche in rapporto alle difficoltà dei tempi attuali.

Lo statuto confederale della Cisl negli articoli iniziali 2 e 3 che definiscono i principi e le finalità della nuova organizzazione, non a caso rimasti immutati in questi sessant’anni, li richiama entrambi in modo molto preciso.

Il fine perseguito dalla Cisl è lo “sviluppo della personalità umana” ( si badi bene, il riferimento è alla persona piuttosto che all’individuo o alla classe); l’impegno è per “l’elevazione morale, culturale, sociale “ dei lavoratori e per far questo la Cisl è “decisa ad utilizzare al massimo le risorse formative proprie del movimento sindacale” facendo”appello al concorso delle forze intellettuali e morali capaci di servire alla preparazione dei lavoratori…” (art 2).

E pertanto la Confederazione provvede, nel primo elenco che ne definisce le finalità generali, a “… programmare e gestire l’attività di formazione come insostituibile strumento di politica dei quadri…” (art.3)

Dal che si evince, a mio parere, con chiarezza che fin dalle origini la Cisl indicava in tutta l’esperienza sindacale degli associati e dei militanti l’occasione per una straordinaria esperienza formativa (l’organizzazione che apprende), ma soprattutto che la funzione formativa non era un qualcosa in più , quasi un fiore all’occhiello a cui si dovesse pensare in aggiunta quando si fossero soddisfatte le ben più importanti funzione contrattuali, concertative, di tutela collettiva e individuale, partecipative.

Al contrario: le attività di formazione, studio e ricerca hanno talmente valore di funzioni primarie che si intrecciano trasversalmente, ne sono contaminate e a loro volta contaminano, con tutte le altre funzioni, sia politico-contrattuali che organizzative.

Guido Baglioni nel suo ultimo lavoro “La lunga marcia della Cisl” edito dal Mulino, richiamando in un apposito capitolo la politica formativa della Cisl, ha avuto ben presente questo valore generale della pratica formativa sia per le persone coinvolte che per le strutture committenti.

Se la Scuola nazionale confederale è sempre stata a Firenze, dal giugno 1953 nella sede definitiva di via della Piazzuola 71, e per alcuni anni anche a Taranto per le realtà del Sud, si sono però via via sviluppate nel tempo , e radicate sia nelle Federazioni di categoria che nei territori , esperienze formative assai diversificate: dalle “tre sere” rivolte localmente agli attivisti, ai corsi presso le Ust e poi delle Usr, alle Scuole di formazione delle categorie nazionali.

Insomma, chi si accingesse a scrivere una storia della formazione in Cisl, fatica assai improba ma che meriterebbe prima o poi di essere affrontata, non si troverebbe di fronte ad una storia “minore” o “di frontiera”, ma si troverebbe a mettere le mani nel vivo dell’intera avventura cislina, intercettando le tante storie personali e le diverse vicende sindacali che ne hanno affermato e legittimato il ruolo.

2.             Si è detto di come la Cisl, unica tra le grandi centrali confederali, abbia avuto fin dalle origini nel suo DNA il cromosomo formativo e di come esso abbia proliferato in tutta l’organizzazione fino a diventare tutt’uno con le grandi scelte politiche e organizzative che venivano maturando.

Oggi anche dagli osservatori più refrattari viene un riconoscimento importante al modello sindacale cislino, quello cioè di aver segnato con le sue intuizioni e le sue proposte tutte le fasi innovative della vicenda sociale e delle relazioni industriali dal dopoguerra ad oggi.

Ma come non ricordare con quale diffidenza iniziale e con quale ostilità pregiudiziale sono state spesso accolte da controparti e da compagni di viaggio le idee contrattuali, concertative e partecipative della Cisl ?

Se esse si sono, e si stanno,

progressivamente affermando (“non vi preoccupate, dopo capiranno, sempre dopo, ma capiranno…!” amava dire Sergio D’Antoni), credo che un qualche merito vada riconosciuto in Cisl anche al suo impianto formativo, che ha sempre cercato di tenere virtuosamente aperto il circuito tra i momenti della elaborazione, della proposta con i bisogni e il vissuto dei militanti e dei dirigenti, lavorando sul delicato passaggio tra il “saper essere” e il “saper fare”.

Domandiamoci allora quale sia, se esiste, il “ modello formativo” della Cisl.

Traggo dai sacri testi di Romani, Saba, Costantini, Baglioni , per citarne solo alcuni, ma anche dall’esperienza personale di formatore sul territorio, la convinzione che si possano distinguere tre periodi, avvertendo subito che la suddivisione è assolutamente soggettiva e quindi aperta

a tutte le benvenute critiche.

Gli anni 50 e 60 sono gli anni in cui la novità del modello sindacale della Cisl doveva conquistare le menti e i cuori, doveva cioè affermarsi in alternativa alla pratica sindacale corrente. Soprattutto si doveva permeare praticamente quasi da zero una base associativa e militante ai nuovi concetti dell’autonomia, della contrattazione, dell’autogoverno.

Forse per questo la formazione dei quadri privilegiava soprattutto il contenuto, che veniva “trasmesso” dai docenti e dagli esperti in vere e proprie lezioni di tipo universitario.

C’era sì un’attenzione al vissuto del partecipante, all’analisi del contesto da cui scaturiva la sua esperienza, ma occorreva dimostrare soprattutto di sapere e di avere imparato.

Se si scorrono i piani formativi di quegli anni si vede che non a caso a Firenze si apprendevano nozioni approfondite con docenti assai qualificati di storia, economia, diritto, geografia politica,

storia del movimento operaio ecc. e il corso cosidetto “lungo” perché durava un intero anno era concluso con la presentazione da parte del partecipante di una vera e propria “tesi”.

Negli anni 70 e parte degli anni 80 anche la formazione in Cisl è influenzata dal clima generale di rimessa in discussione di processi consolidati. Sono gli anni in cui si allarga e si apre ad una pluralità di esperienze la stessa base associativa della Cisl.

Semplificando molto si può dire che l’attenzione a nuove e più aggiornate metodologie formative faceva premio sull’aspetto contenutistico. Il vissuto, la socializzazione delle esperienze, il lavorare in gruppo costituivano, più che l’elemento nozionistico, il fulcro del processo formativo.

Il formatore era attento alle dinamiche che si sviluppavano nel gruppo, ne favoriva la crescita, ma non interferiva sui contenuti e sul prodotto finale che era consegnato al gruppo stesso.

Negli anni successivi fino ad oggi mi pare di poter dire che tra metodologie e contenuti si sia raggiunto un punto di maggior equilibrio. E’ importante come si apprende, ma anche cosa si apprende !

Il formatore non è un esterno, un “professionista “ della formazione. E’ invece un sindacalista che, anch’esso debitamente formato, si occupa di progettare, gestire e valutare il percorso.

Il lavoro di gruppo rimane un luogo importante del processo formativo, dove si possono anche sperimentare “buone pratiche”, ma i partecipanti devono sempre confrontarsi con relatori o esperti provenienti dall’esterno e dall’interno del sindacato.

I nuovi scenari della globalizzazione, la velocità dei cambiamenti, più recentemente lo tsunami della crisi finanziaria, poi economica e occupazionale hanno costretto il sindacato, prima di tutti come sempre la Cisl, a interrogarsi su quali nuove risposte e su quali nuove politiche.

Citando ancora Baglioni : il passaggio dalle politiche acquisitive a quelle di responsabilità.

Per questo oggi in Cisl si avverte l’esigenza di una formazione che , prendendosi cura della persona,

accompagni il militante o il dirigente in un percorso di crescita e di nuova responsabilizzazione, finalizzato al bene comune e a una nuova etica sociale come alternativa all’individualismo e al libertarismo corrente.

Si può allora sostenere che, mentre sembra azzardato individuare nella formazione in Cisl la presenza di un unico modello formativo, se non fosse altro per la pluralità e la specificità delle singole esperienze, tuttavia non mi sembra azzardato sostenere che si siano ormai consolidate, esaminando e valorizzando appunto i vari piani formativi , quelle che chiamerei “comuni convinzioni” sugli obiettivi.

Anzitutto si tratta di perseguire una conoscenza, ma anche una consapevolezza sulla natura e la complessità dei cambiamenti in corso. Essi investono tutte le sfere dell’esistenza, dal lavoro al sociale, dal privato alla politica. Dentro al cambiamento non ci sono, e non ci devono essere, solo disastri e paure, ma anche opportunità e speranza. Bisogna che la formazione sindacale aiuti a codificare le piste possibili per una convivenza più solidale, rafforzando la conoscenza di teorie, fonti ed esperienze altrimenti non raggiungibili.

Ma bisogna anche che, attraverso la formazione, le idee e le proposte della Cisl , un bagaglio di valori di fondo e di nuove strategie, intercettino il vissuto dell’organizzazione, generalizzandone non solo la conoscenza e la consapevolezza, ma confermandone la praticabilità e la concretezza nell’impatto concreto con i bisogni e le aspettative dei soci.

Cosi la formazione per i quadri e i dirigenti diventa quel luogo dove si crea un “circuito virtuoso” tra la proposta dell’organizzazione e gli elementi introdotti dal lavoro dei partecipanti tale per cui in un rapporto di andata e ritorno tutti e due i soggetti, l’organizzazione committente e i partecipanti, ne vengono beneficiati ed arricchiti. Si pensi al potenziale che ne potrebbe derivare da una diffusa campagna formativa rivolta ai giovani e alle RSU.

Emerge quindi più attuale il collegamento tra formazione sindacale e politica dei quadri della Cisl.

L’attenzione alla persona richiamata prima si concretizza soprattutto verso ai nuovi soggetti di rappresentanza (giovani, donne, precariato, nuove professioni, immigrati…) perché da essi possono venire i ricambi nelle responsabilità e nei gruppi dirigenti.

La formazione da sola non risolve il problema dei futuri quadri, ci vogliono evidentemente consenso e percorsi di validazione politica che devono prima di tutto funzionare, ma non è certo secondario ricordare che nell’ultimo congresso della Cisl si sia ribadito l’obiettivo di “assicurare a chiunque è chiamato a ricoprire un ruolo di responsabilità un adeguato percorso formativo”.

3.           Sulla crisi finanziaria, economica e sociale in corso c’è tra gli esperti una diversità di opinioni assai vasta sui tempi e sugli strumenti per uscirne. Per rimanere sul terreno dell’economia si fronteggiano due scuole ben distinte: tra chi ritiene che occorrano politiche di bilancio restrittive e di ridimensionamento delle tutele sociali e chi al contrario pensa che almeno per l’occidente il problema sia nella bassa crescita e nella scarsità di lavoro da risolvere con interventi pubblici espansivi.

Comunque sia però esiste una sostanziale unità di vedute sul fatto che questa crisi ci costringe tutti a cambiare, mette fortemente in discussione modelli e comportamenti non più sostenibili, apre scenari nuovi negli equilibri mondiali tra gli Stati, in sostanza sollecita regole e scelte anche di discontinuità da parte di tutti gli attori, sia politici che istituzionali che sociali.

Verrebbe da commentare con amarezza che solo gran parte della politica italiana non se ne sia ancora accorta !

La Cisl, come è noto, ha da tempo intrapreso un coraggioso cammino di riposizionamento delle proprie politiche con proposte ed azioni che sostituiscono l’idea della conflittualità inevitabile nel sistema industriale con quello della responsabilità e della cooperazione tra le forze sociali.

Da qui sono scaturite le posizioni per una regolazione della finanza internazionale, le sollecitazioni per un governo europeo dell’economia, la spinta per un fisco non solo più giusto e più equo ma anche strumento di sviluppo, la ridefinizione del modello di relazioni industriali con il decentramento della contrattazione, infine con la definizione di un nuovo welfare rivolto alle fasce deboli e alle famiglie.

Non è questa la sede per approfondire questi temi, né di dar conto delle resistenze esterne e interne al movimento sindacale che questo “riposizionamento” incontra; mi preme però sottolineare come per un sindacato come la Cisl si tratti non tanto di una rottura con le scelte precedenti, quanto invece di un “ritorno al futuro”, cioè della valorizzazione, naturalmente aggiornato ad oggi, del bagaglio originario delle idee forza della Cisl .

Si pensi alla riproposizione degli obiettivi di competitività e di produttività di sistema e aziendali, al rilancio della strumentazione partecipativa e della bilatelarità, alla sostituzione della pratica conflittuale con quella del confronto, al collegamento tra iniziativa responsabile del sindacato e bene collettivo, alle sollecitazioni per una rinnovata etica della solidarietà.

Questa “sfida” che la Cisl ha lanciato richiede evidentemente una consapevolezza diffusa e un consenso ragionato non solo nella cerchia ristretta della dirigenza nazionale.

Occorre che maturi una condivisione tra i militanti, i quadri, i dirigenti locali dell’organizzazione che non sia solo legata alla fedeltà, ma sia convinta e consapevole sulla base di una analisi corretta dei mutamenti in atto, delle difficoltà in corso ma anche delle opportunità, della possibilità di misurare nel concreto l’azione sindacale.

A questo deve contribuire, specialmente in questa fase, certamente non in modo esclusivo , la formazione sindacale in Cisl.

E’ un impegno a cui si sta lavorando da qualche tempo (a novembre si terrà al Centro Studi il secondo forum biennale della formazione) con la ridefinizione nei percorsi formativi sia dei contenuti che dei requisiti di accesso e di partecipazione dei dirigenti.

Mentre è in corso di progettazione un secondo, e non meno importante, livello formativo di base dedicato alle migliaia di RSU/SAS presenti nei luoghi di lavoro e sul territorio, che sono poi i veri destinatari e protagonisti della nuova contrattazione decentrata di secondo livello, secondo le intese unitariamente firmate con Confindustria, ma anche della auspicabile concertazione locale sul sociale. Uno sforzo di prima grandezza per la Cisl e le sue categorie, ma da cui non è possibile prescindere se è vero , come ci ha ricordato Andrea Ciampani su Sindacalismo, che CGIL e anche Confindustria si muovono per formare alla contrattazione partecipata !

Se negoziare in modo diffuso vuol dire sostituire alla logica rivendicativa e conflittuale quella della partecipazione e del confronto, se cioè non sono tanto i muscoli ma le idee il motore dell’intervento sindacale, allora bisogna che accanto ai valori, anzi partendo da questi, si sviluppino nei quadri sindacali conoscenze, competenze, abilità , risorse di professionalità.

Se nella crisi e oltre la crisi si stanno ridefinendo assetti e profili produttivi, se mutano tecniche e consumi, allora c’è bisogno nel sindacato di formarsi sui temi delle filiere, dei servizi a rete, delle tecnologie ecocompatibili ed ambientali.

Se le politiche liberiste e finanziarie aggressive degli ultimi vent’anni non solo hanno fallito ma sono la causa delle difficoltà di oggi, allora è bene rafforzarci le convinzioni per l’economia sociale, per un capitalismo associativo, verso la democrazia economica.

E infine se la società multietnica non è di domani, ma è e sarà sempre più presente nelle diversità culturali, etniche, religiose, allora va coltivata una cultura del rispetto e dell’inclusione nel lavoro e nel sociale.

Sono solo indicazioni di alcuni contenuti che possono caratterizzare una nuova stagione formativa in Cisl. Altri si possono certamente aggiungere non meno rilevanti ed è bene che il dibattito si sviluppi forte.

Bruno Manghi ci ricorda che tutta l’esperienza sindacale in Cisl è di per sé stessa una grande occasione educativa.

Se ciò è vero, questo ci rimanda al punto di partenza : l’attenzione è alla persona, sia esso semplice iscritto o militante o dirigente.

Alla persona siamo chiamati a dare non solo abilità e professionalità, pur importanti, ma anche il senso di una appartenenza solidale e valoriare , comunitaria, in grado di incidere sul lavoro e nella società.

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